Giorgia Meloni è arrivata a Maputo, nel Mozambico. «Il presidente Nyusi ha garantito non solo la cooperazione e la collaborazione del Mozambico nella stesura del Piano Mattei che vogliamo presentare alla Conferenza Italia-Africa, ma anche la sua presenza», ha detto la presidente del Consiglio nel primo incontro con la stampa. Meloni ha annunciato che il 70 per cento del fondo clima, circa tre miliardi di euro, saranno destinati proprio al piano Mattei.

Gran parte della politica italiana è ancora in vacanza quando Marco Rosario Ferrante viene nominato responsabile e delegato di Fratelli d’Italia per Angola e Mozambico, paesi facenti parte del dipartimento “Italiani nel mondo” del partito della premier Giorgia Meloni. Una nomina non certo casuale, dal momento che Ferrante può vantare più di dieci anni di esperienza lavorativa nella principale multinazionale italiana, partecipata per il 32 per cento dallo Stato: Eni.

Attualmente Ferrante opera presso il dipartimento Production Chemistry and Technical Authority di Azule Energy, joint venture di Eni e BP in Angola, per lo più orientata alla ricerca e produzione di gas fossile. Una nomina passata sottotraccia, sebbene molto rilevante proprio in occasione della visita di Giorgia Meloni in Mozambico e Repubblica del Congo, paesi chiave del cosiddetto “Piano Mattei per l’Africa”.

Un piano che origina dalla necessità di rompere con il gas russo in seguito all’invasione dell’Ucraina. Nella primavera 2022, l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi si recarono in Qatar e Algeria, ma anche in Repubblica del Congo, Angola e Mozambico, paesi strategici nel portafoglio del cane a sei zampe.

Politica energetica e migratoria a braccetto

I governi si avvicendano mentre Descalzi è inamovibile, dando continuità alla politica energetica italiana improntata sui combustibili fossili. Con il governo Meloni l’ossessione per petrolio e gas rimane. A questa si affianca quella per il contrasto all’immigrazione irregolare: su questi due assi ruoterebbe il Piano Mattei per l’Africa, di cui però ad oggi non c’è alcuna traccia ufficiale.

Nel 2021, Eni è risultata la seconda multinazionale energetica per attività in Africa, il 60 per cento della produzione globale della società arriva infatti dal continente africano. Se parliamo di investimenti in nuove attività estrattive tra il 2020 e il 2022, solo l’algerina Sonatrach ha saputo fare di meglio.

Il primo carico di gas mozambicano è partito proprio dal progetto Coral South FLNG di Eni, al largo delle coste di Cabo Delgado, nel nord del Paese. Più volte enfatizzato come essenziale per la sicurezza energetica italiana, ad aprile 2023 solo due carichi su tredici erano arrivati in Italia, per un ammontare di circa 200 milioni di metri cubi di gas su complessivi 1,2 miliardi. Un dato che non deve stupire, perché, grazie a un accordo stipulato nel 2016, Eni ha delegato a BP la distribuzione del gas prodotto da Coral South, rivenduto sul mercato al miglior offerente.

L’industria fossile tra le cause dell’instabilità

A Cabo Delgado, invece, dove è presente anche la oil major francese TotalEnergies con il progetto Mozambique LNG, sospeso da aprile 2021, si parla di tutt’altra sicurezza. Da più di cinque anni, infatti, è in corso un’insurrezione armata guidata dal gruppo Al-Shabaab, che ha causato oltre 4mila vittime e un milione di sfollati. È in questo contesto di instabilità socio-politica e sistematica violazione dei diritti umani che Eni – in partnership con ExxonMobil – sta spingendo per aggiungere al suo portafoglio Rovuma LNG, ennesimo progetto monstre di gas fossile.

Una situazione di conflitto che ha radici profonde nelle disuguaglianze economiche, come evidenziato anche dal recente report commissionato da Total a Jean-Christophe Rufin, ex-ambasciatore francese in Senegal e tra i fondatori di Medici senza frontiere.

Sebbene le società energetiche, Eni inclusa, neghino qualsiasi collegamento, Rufin è netto nel dire che il senso diffuso di frustrazione tra le comunità impattate dall’espansione dell’industria fossile sia uno dei fattori su cui possono far leva gli insorti.

Anche il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, interpellato da ReCommon attraverso un’istanza di accesso agli atti, conferma la precarietà del contesto con un «conflitto ancora in corso». Tuttavia, il ministero si affretta ad aggiungere che «al momento d’altro canto l’insurrezione non attua sistematici attacchi contro gli investimenti stranieri». L’enfasi posta su «sistematici» non è rassicurante, facendo intendere come degli attacchi abbiano comunque alta possibilità di accadere.

Le future mosse di Eni

Nonostante ciò, Eni e le altre multinazionali del gas attive in Mozambico scalpitano per riprendere la corsa alle risorse. Lo scorso 23 settembre, l’Ambasciata italiana a Maputo ha reso noto un documento dal titolo “Strumenti finanziari per l’internazionalizzazione delle Imprese italiane”, con ampio spazio al settore energetico e ai progetti di Eni. A fare da eco a questa informativa sarà il Business forum Italia-Mozambico del 26 ottobre a Milano, organizzato da Assolombarda con l’Ambasciata del Mozambico in Italia, l’Agenzia per la promozione degli investimenti e le esportazioni del Mozambico, Confindustria Assafrica e Mediterraneo.

La premier ha descritto il Piano Mattei come un «un modello di cooperazione su base paritaria per trasformare le tante crisi anche in possibili occasioni». Alla luce di queste vicende, ancora una volta le occasioni sembrano essere buone solo per pochi, e tra questi c’è sicuramente Eni.


Simone Ogno è campaigner Finanza e Clima per Recommon

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