Dopo l’ultima fumata nera arrivata dall’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, con il mancato aumento di capitale e la totale assenza di un piano di rilancio che non fanno che aumentare l’incertezza sul futuro degli stabilimenti, la richiesta dei sindacati al governo Meloni è una sola: l’ex Ilva va nazionalizzata. Ma temono che l’esecutivo abbia paura di compiere questo passo.

Ed è con questa idea che venerdì si sono seduti al tavolo di palazzo Chigi dove hanno incontrato il governo per discutere del futuro del gruppo siderurgico, dal 2021 in mano alla multinazionale franco-indiana ArcelorMittal che ne detiene la maggioranza con una quota del 62 per cento, con una partecipazione statale – tramite Invitalia – del restante 38 per cento.

Per le organizzazioni sindacali il ruolo dello stato in Acciaierie d’Italia deve aumentare fino a determinarne il controllo, un’ipotesi condivisa anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ma non dal resto dell’esecutivo. Con il risultato che si continua a rinviare ogni decisione sul futuro dell’assetto societario, tenendo con il fiato sospeso gli oltre diecimila lavoratori coinvolti, che temono che il prolungarsi di questo impasse porti alla chiusura definitiva degli stabilimenti, a partire da quello di Taranto, da cui dipende il resto della filiera italiana.

L’incontro

Nel pomeriggio di venerdì si è svolto un nuovo confronto sul futuro dell’ex gruppo Ilva tra governo e sindacati a palazzo Chigi, a dieci giorni di distanza dall’ultimo, avvenuto lo scorso 19 dicembre.

Al vertice erano presenti il ministro delle Imprese e del made in Italy Urso, insieme ai colleghi agli Affari europei e Pnrr Raffaele Fitto e alla ministra del Lavoro Marina Calderone (che ha partecipato in collegamento), oltre al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Per quanto riguarda le parti sociali, erano presenti i leader di Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm, Usb e Uglm.

Il governo, si legge nella nota diffusa da palazzo Chigi, «ha assicurato ai rappresentanti dei lavoratori il massimo impegno per garantire la continuità produttiva, vagliando le ipotesi in campo atte a evitare il ricorso all’amministrazione straordinaria», confermando l’incontro del prossimo 8 gennaio con l’azionista di maggioranza, «al quale saranno chieste precise garanzie su investimenti, livelli di produzione, sicurezza dei lavoratori, salvaguardia degli impianti e tutela ambientale». Si tratta dell’ennesimo nulla di fatto, stavolta prevedibile alla luce delle notizie del giorno precedente.

Già nel corso dell’ultimo incontro il governo aveva assicurato alle tute blu che avrebbe valutato le posizioni che ArcelorMittal avrebbe espresso nell’assemblea dei soci del 22 dicembre, rinviando dunque il confronto a dopo il Consiglio dei ministri di ieri, da cui però non sono trapelate indiscrezioni circa le intenzioni di palazzo Chigi sulla vertenza.

L’assemblea si è conclusa con una fumata nera, così come il cda di ieri, senza una decisione sui due nodi principali, ovvero l’aumento di capitale e l’acquisto degli impianti.

La posizione dei sindacati

I sindacati continuano a ribadire la loro posizione: lo stato deve avere la maggioranza, per mettere fine alla gestione da parte del colosso franco-indiano e rilanciare la produzione e l’occupazione.

«È inaccettabile che il consiglio di amministrazione e l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia si riuniscano da mesi senza prendere decisioni per la salvaguardia dell’occupazione, dell’ambiente e della produzione di acciaio in Italia. È un comportamento irresponsabile, in un paese normale dovrebbero dimettersi e il governo dovrebbe prendere in mano l’azienda», ha dichiarato Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, una posizione sostanzialmente condivisa dalle altre sigle sindacali.

«Il governo nazionale – continua Scarpa – non può essere ostaggio di una multinazionale. Il Consiglio dei ministri decida per la salita nel capitale pubblico. Gli stabilimenti ex Ilva sono in una situazione che peggiora di giorno in giorno a causa dell’incuria e dell’assenza di manutenzioni e perdere altro tempo significa mettere a rischio la salute e l’occupazione dei lavoratori, l’ambiente, la continuità aziendale e la tenuta gli impianti. È necessario che il governo faccia l’interesse di tutto il paese, non può continuare con questo atteggiamento di retroguardia, ci sono di mezzo le vite di migliaia di persone e il futuro dell’industria siderurgica italiana».

Una situazione di totale incertezza, che non è stata risolta dall’incontro puramente interlocutorio di ieri, e che sembra destinata a prolungarsi ben oltre l’ennesima data fatidica, questa volta fissata all’8 gennaio.

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