Durante il suo tour siciliano Matteo Salvini ha rilanciato il progetto del ponte sullo stretto di Messina. Così aveva fatto qualche giorno prima Silvio Berlusconi. Secondo Stefania Prestigiacomo, candidata alla Camera in Sicilia, «è opportuno gettare fin da subito le basi per questa opera fondamentale». 

Ma per affrontare questo tormentone è importante ricordare alcuni fatti tecnici, che suscitano seri dubbi sulla possibilità di costruirlo. Esiste un recente studio del 2021 che descrive quattro soluzioni alternative. Quella sub-alveo (un tunnel sotto il fondale marino), non si può fare perché il mare è molto profondo, e le pendenze necessarie sarebbero proibitive. Poi un tunnel semisommerso ancorato al fondo con cavi (“ponte di Archimede”): non ne è mai stato costruito uno, ha moltissime incognite tecniche.

Quello più noto è a campata unica di 3 chilometri di luce, con pilastri a terra di 300 metri, lontano sia da Messina sia da Reggio, perché bisogna farlo nel punto meno esteso dello stretto, cioè al suo estremo nord. È proibitivo per il traffico locale, che userebbe i traghetti perché più veloci. Ha problemi sismici rilevanti e, essendo una struttura molto flessibile, in tutti i giorni di venti forti non sarebbe utilizzabile. Inoltre le enormi fondazioni dei pilastri presentano incertezze sulle temperature che si generano in fase di presa del calcestruzzo, con conseguenze non note.

La quarta soluzione vedrebbe ancora un ponte sospeso, ma molto più lungo, che collegherebbe direttamente le due maggiori città, a tre campate con due pilastri appoggiati in mare sulle pendici del fondale dello stretto (che presenta una sezione a V). Questo genererebbe severissimi problemi statici, perché quelle pendici non sono geologicamente stabili.

I conti economici

Lo studio citato si presenta molto approfondito anche per ii traffico. Quello attuale via traghetto per i passeggeri è pari a circa 4,2 milioni annui (6,3 milioni sono i passeggeri per via aerea), e per le merci di circa 3,3 milioni di tonnellate attraverso lo stretto (altri 2,2 milioni sono via navi di lunga percorrenza). Non ci sono previsioni di crescita quantificate.

I risparmi di tempo del ponte (per le diverse tipologie) rispetto ai traghetti sono inferiori all’ora (il massimo risparmio è di 47 minuti). I costi dell’opera non vengono quantificati. Non risultano nemmeno analisi del tipo costi-benefici sociali, pur prescritte dalle norme vigenti.

Con quei dati però è possibile valutare “a ritroso” l’ordine di grandezza della spesa che sarebbe giustificata dai benefici economici generati. Assumiamo parametri molto «ottimisti», cioè stimiamo quello che è il miglior risultato economico possibile per l’opera. Assumiamo che il saggio sociale di sconto sia il 3 per cento, il valore del tempo sia per le merci 100 euro/ora per ogni camion, e per i passeggeri sia 10 euro/ora il valore medio del tempo risparmiato (arrotondato per eccesso a un’ora ogni viaggio), e la crescita del traffico il 3 per cento annuo.

Assumiamo poi che l’elasticità alla riduzione del tempo di viaggio per i passeggeri e per le merci li faccia aumentare del 20 per cento circa, rispettivamente a 5 e 4 milioni (il ponte non determinerà spostamenti modali per i viaggi di lunga distanza, dove nave e aereo rimarranno dominanti).

Per i risultati assumiamo il metodo «first year benefits», su cui qui non ci dilunghiamo, accettabile quando il saggio sociale di sconto coincida con il saggio di crescita assunto per i benefici, entrambi il 3 per cento. I benefici all’anno di apertura ammontano a circa 90 milioni, che costituiscono il 3 per cento (la redditività minima secondo gli standard europei) di un investimento dell’ordine di 3 miliardi. Le stime di costo che hanno informalmente circolato non sono mai inferiori a valori doppi.

L’opera dunque non genera benefici (costituiti principalmente da risparmi di tempo) tali da giustificarla. Questo, con pedaggi nulli, cioè con i costi tutti a carico dei contribuenti. Con un pedaggio, il traffico e quindi i benefici socioeconomici sarebbero ancora inferiori.

C’è molto di peggio

Ma forse meglio il ponte, rispetto alla maggior opera infrastrutturale del Pnrr, il raddoppio ad alta velocità della linea esistente tra Salerno e Reggio, in fase di velocizzazione e lontana dalla saturazione.

L’opera è prevista costare una cifra compresa tra i 22 e i 29 miliardi (tra 5 e 7 Tav, per intenderci) tutti a carico dei contribuenti, e farà risparmiare circa 40 minuti di tempo di viaggio, ritenuti con un gran volo di fantasia essenziali alla crescita del sud. Lo studio di fattibilità, per sicurezza, è stato affidato allo stesso percettore dei fondi, le Ferrovie dello Stato, in clamoroso conflitto di interessi. Quelle analisi usano criteri che farebbero venir fattibile qualsiasi cosa, come si può verificare in dettaglio nell’audit prodotta da Brt onlus, e consultabile sul sito relativo.

Questa linea in realtà sarà ancora meno utile del ponte, per euro pubblico speso. Ma per entrambe le opere, la netta impressione è che si tratti di soldi destinati a comprar voti, molto più che a far crescere il Mezzogiorno, che di cose molto diverse avrebbe bisogno.

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