L’alleanza di centrodestra ha retto nella divisione dei collegi e nella stesura di un programma comune, con maglie abbastanza larghe da non impegnare puntualmente nessuno dei partiti che la compongono. Ma ora che è cominciata la campagna elettorale, della coalizione non c’è traccia. Anzi, Lega e Fratelli d’Italia corrono in solitaria comportandosi più da avversari in competizione che da alleati.

A dimostrarlo lo scontro involontario che ieri ha visto protagonisti Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Entrambi a Messina per eventi elettorali, in due luoghi distinti ma alla stessa ora. Per salvare le apparenze i due si sono dati appuntamento per una chiacchierata privata in un circolo del tennis, concluso con una foto abbracciati da pubblicare sui social con la scritta: «Uniti si vince». Meloni ha anche provato a smorzare le polemiche, dicendo che quello tra lei e Salvini «non è un derby a distanza» e che «bisogna incrociare le agende».

Tuttavia a esplicitare lo spirito di questa campagna elettorale è stato il suo consigliere più fidato, Guido Crosetto, in una intervista al Corriere della Sera: «In campagna elettorale ogni leader ha due obiettivi: ottenere un risultato di coalizione e ottenerne uno di partito. E risponderà dei due risultati. È una competizione nella competizione». Posto che tutti i sondaggi danno inequivocabilmente la vittoria al centrodestra, infatti, lo scontro interno acquista ancora più forza.

Posizioni diverse

Al di là delle foto e delle dichiarazioni di circostanza, a dividere i due leader sono anche orientamenti molto diversi su alcuni temi chiave. L’ultimo caso è quello dell’immigrazione, proprio mentre a Lampedusa sono ripresi gli sbarchi e l’hotspot è stracolmo con 1.600 migranti. Meloni è tornata a proporre il «blocco navale», spiegando che si dovrebbe promuovere «una missione europea per bloccare le partenze, in collaborazione con le autorità libiche e nordafricane», per «difendere i confini e fermare la tratta di esseri umani verso l’Italia».

Salvini, invece, le ha risposto a distanza poco prima di incontrarla a Messina, dicendo che «non occorrono i blocchi, basta riapplicare i decreti sicurezza», da reintrodurre nel primo Consiglio dei ministri del nuovo governo visto che «hanno perfettamente funzionato per anni. Li hanno smontati ed è tornato il caos». Un primo cdm che «sarebbe un onore poter presiedere» da premier, ha aggiunto.

Quale delle due soluzioni verrà adottata in via prioritaria con la destra al governo non è chiaro e il programma di coalizione non offre soluzione. Nello scarno elenco per punti, infatti, ci sono sia i «decreti sicurezza» sia la «difesa dei confini nazionali ed europei, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani» e la «creazione di hotspot nei territori extra europei, gestiti dall’Unione europea, per valutare le richieste d’asilo».

Che cosa Meloni intenda per blocco navale è contenuto in un documento di Fratelli d’Italia del 2021. Tecnicamente si tratta di una missione che impedisca le partenze da un porto e la sua accezione più comune è quella militare, ma per Meloni si tratta di una iniziativa che deve partire a livello europeo, che blocchi le partenze in accordo e con la collaborazione libica. La differenza con i decreti Sicurezza, quindi, è sostanziale: Meloni propone di bloccare i porti nordafricani, Salvini invece di respingere le imbarcazioni già in mare. In entrambi i casi, ci sono dei limiti giuridici.

I decreti Sicurezza sono già stati dichiarati parzialmente incostituzionali nella parte in cui vietavano l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo e Salvini è ancora sotto processo per sequestro di persona nella sua qualità di ministro dell’Interno nel caso Open Arms.

Inoltre sia il diritto internazionale sia i giudici italiani hanno ribadito l’obbligo di salvataggio dei naufraghi in mare e di approdo nel porto più vicino. L’ipotesi del blocco navale, invece, rischia di venire censurata rispetto alla Dichiarazione universale dei diritti umani, che prevede il diritto di ogni individuo di «lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Inoltre, il blocco unilaterale dei porti è considerato atto di guerra dal diritto internazionale.

Il faccia a faccia

Al netto dei temi di campagna elettorale, la questione cruciale è la primazia nel centrodestra e a chi spetterà, dopo il 25 settembre, il ruolo di presidente del Consiglio. Pubblicamente, sia Salvini che Silvio Berlusconi non possono negare il diritto di Meloni a puntare a palazzo Chigi nel caso di netta vittoria di Fratelli d’Italia nella competizione interna.

Tuttavia, l’automatismo del «comanda chi ha preso più voti» che ha sempre regolato i rapporti dell’alleanza e su cui punta Meloni potrebbe venire aggirato: Lega e Forza Italia lavorano alla rincorsa interna e ragionano in coppia, con l’obiettivo di arrivare – sommati – a ottenere un voto più di FdI. In questo modo le possibilità di un incarico a Meloni potrebbero ridursi, si ragiona nel centrodestra, anche in forza dell’argomento del “pericolo fascista”.

«Con umiltà e scaramanzia, credo che la partita non sia chiusa. Non abbiamo ancora vinto niente: chi vince e prende un voto in più degli altri deve avere l’onore e l’onere di governare questo paese», ha detto Salvini dalla Sicilia, in un botta e risposta a distanza con Meloni che solo qualche giorno fa aveva detto che «se ci fosse l’affermazione di Fratelli d’Italia, non ho ragione di credere che Mattarella possa assumere una scelta diversa» rispetto all’indicarla come presidente.

Nonostante queste dichiarazioni, continua a far fede solo il dettato costituzionale. Non esistono automatismi nel conferimento dell’incarico a formare il nuovo governo ma la valutazione è appannaggio esclusivo del Quirinale, al termine delle consultazioni con i partiti. Qualsiasi ipotesi prima che le urne abbiano stabilito i rapporti di forza tra tutti i partiti politici, dunque, si scontra con l’etichetta istituzionale e rischia di essere percepita come uno sgarbo a Sergio Mattarella. Proprio quello che Meloni, così attenta a costruirsi un’immagine moderata, sta cercando di evitare.

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