Uno, nessuno e centomila. Nell’èra della destra di Giorgia Meloni al potere, solo Luigi Pirandello potrebbe raccontare, da par suo, le vicende che ruotano attorno alla figura del portavoce della premier. Ce n’è “uno” ufficiale, o meglio “una”, la storica Giovanna Ianniello, che però è formalmente inquadrata come «coordinatore degli eventi di comunicazione».

Al suo fianco Fabrizio Alfano che, recentemente, è diventato capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio. Infine ci sarebbe il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari al quale spetta, dallo scorso 3 agosto, il «coordinamento» della comunicazione. Ma è più un mastino politico che fa la guardia ai ministri per evitare scivoloni politici, di quelli che hanno fatto infuriare la leader nei mesi scorsi.

Insomma, formalmente non c’è “nessun” portavoce. Ma in realtà ce ne sono “centomila”. Da Alessandro Sallusti a Mario Sechi (che è passato da Chigi alla direzione di Libero), da Italo Bocchino a Daniele Capezzone fino al Corriere della sera.

Sono loro che, svolgendo quotidianamente la propria attività, trasmettono il pensiero meloniano al mondo. Sallusti, tornato alla direzione del Giornale, ha anche pubblicato recentemente libro intervista con la premier La versione di Giorgia.

Un manifesto programmatico che ben sintetizza il momento. Libero, ad esempio, ha diffuso in anteprima la “versione di Giorgia” alle Nazione unite, cioè il discorso che la premier ha pronunciato a New York nella notte italiana.

Meglio ha fatto il Corriere che, dopo giorni di polemiche sulla scelta di Meloni di disertare il ricevimento organizzato da Joe Biden per andare a mangiare una pizza con figlia e staff, ha riportato, sotto forma di retroscena, la “versione di Giorgia” su quanto accaduto: «La cena degli americani era alle 19 di New York e io in pizzeria ci sono andata alle 21, dopo dodici ore di lavoro al palazzo di Vetro, dopo aver saltato il pranzo per i tanti bilaterali e quando il ricevimento di Biden era finito».

Dopotutto il giornale milanese, da quanto è arrivata a palazzo Chigi, ha avuto, ricambiato, un occhio di riguardo per la premier che lì ha pubblicato la sua lettera sul 25 aprile ma anche il ricordo di Silvio Berlusconi dopo la sua morte. A riprova che non servono spin doctor o portavoce seduti nelle stanze del governo.

Polo Angelucci

Fin dall’inizio, infatti, la ricerca di qualcuno che potesse ricoprire il ruolo è stata piuttosto complicata. Meloni ha sempre preferito circondarsi di persone fidate provenienti dalla sua storia politica, difficile fidarsi di un “esterno”. Così il mantra che tutti ripetevano, dentro FdI e dentro il governo, era: «Ma perché? C’è davvero bisogno di un portavoce?»

La soluzione perfetta l’ha messa a punto Antonio Angelucci, deputato prima di Forza Italia e oggi della Lega, ma soprattutto editore che, dopo aver acquistato il Giornale e averlo affiancato a Libero e al Tempo, ha creato un polo mediatico conservatore a disposizione della premier e del centrodestra.

Così, quando serve un po’ di narrazione mediatica, con una ricca iniezione di pathos, scendono in campo i pesi massimi. Giornalisti che a colpi di penna fanno arrivare i messaggi al grande pubblico, quantomeno all’elettorato amico.

Libero Sechi

Il caso Sechi, passato da essere collaboratore della premier a direttore del quotidiano Libero, spiega bene qual è la strategia. Soprattutto perché il neodirettore si muove in tandem con l’ex parlamentare Capezzone (che del quotidiano è direttore editoriale).

Al fianco di Sallusti e Sechi c’è poi il quotidiano romano Il Tempo – altra creatura editoriale nelle mani di Angelucci – che sotto la guida di Davide Vecchi ospita “Cicisbeo”, pseudonimo dietro la quale dicono si nasconda un potentissimo ex parlamentare impegnato, anche lui, nella battaglia contro l’egemonia della sinistra. In ogni direzione. Un’altra versione di Giorgia.

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