La Confindustria vuole partecipare alla spartizione dei 209 miliardi in arrivo dal Recovery Fund e il governo si dichiara ben lieto di aggiungere un posto a tavola. Ma all'assemblea 2020 degli industriali, tenuta a Roma con mesi di ritardo rispetto alla tradizionale scadenza di fine maggio a causa del Covid, si è anche capito che il dialogo non sarà facile.

Personaggi e interpreti. L'esordiente Carlo Bonomi, primo presidente della storia di Confindustria del quale si ignora che azienda abbia ma così convinto del ruolo da citare come modello Henry Ford del quale richiama una frase imbarazzante (“Quando tutto sembra essere contro, ricorda che l’aereo decolla contro vento”), visto che da sempre gli industriali italiani pretendono di decollare con il vento in poppa, con i risultati noti.

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, anche lui esordiente al podio confindustriale, al punto da dichiararsi "emozionato" e da essere il primo uomo di governo della storia a chiamare "caro Carlo" il padrone di casa: nemmeno Silvio Berlusconi l'ha mai fatto, lui che i presidente della Confindustria li eleggeva.

E poi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, elegante nei modi ma fermo nella sostanza, cioè nel far capire a Bonomi e allo stesso Patuanelli che il governo ha da occuparsi di 60 milioni di italiani e non solo degli iscritti al carrozzone di viale dell'Astronomia.

Le sfide impossibili

E' stata la prima assemblea della Confindustria in cui ha fatto irruzione il linguaggio dei social network. Patuanelli è preoccupato come Salvini di che cosa potrebbero chiedergli un giorno i suoi figli, Bonomi si affida a una citazione di Alex Zanardi e del suo "suo coraggio nelle sfide impossibili", di discutibile gusto visti i recenti esiti.

Poi spara una oscura massima da bacio Perugina («Non si viaggia insieme per cambiare luogo. Si viaggia insieme per cambiare idea»), ma solo dopo venti minuti di discorso si prende il primo applauso con il motto «non c'è futuro senza le energie dei giovani e delle donne». Un politicamente corretto di maniera e molto posticcio. Infatti prima dice che «l'Italia deve smetterla di concentrare sui giovani le più aspre diseguaglianze di reddito, lavoro, prospettive sociali». Giusto. Quindi invoca la "parità retributiva" per le donne. Sacrosanto. Ma poi si avvita in una contraddizione lancinante, intimando al governo di non fissare il salario minimo per legge perché violerebbe «l'autonomia delle parti sociali». Se ne deduce che i giovani e le donne avranno giustizia quando lo deciderà la Confindustria.

Infine denuncia che il blocco dei licenziamenti deciso dal governo «ha impedito alle aziende di ristrutturarsi», cioè di licenziare, dimostrando che Conte ha fatto la cosa giusta.

Prima Confindustria, poi il paese

Bonomi è focalizzato sul futuro della sua organizzazione più  che su quello del paese. Avverte che i 209 miliardi del Recovery Fund «non risolvono niente se se ne dà una goccia a tutti»,  poi rimarca che «i sussidi non sono per sempre, non possiamo e non vogliamo diventare un Sussidistan».

Conte gli ha ricordato che il governo, nella fase acuta della crisi Covid, ha distribuito alle imprese 39 miliardi a fondo perduto, ma è proprio questo che non piace alla Confindustria, che le imprese ricevano aiuti dal governo senza la sua intermediazione.

Il governo accetta l'idea del "patto", che è fine e non impegna, ma Conte e Patuanelli parlano con due visioni divaricate dei problemi. Il ministro nomina i lavoratori solo due volte, la prima per notare che in Italia si parla molto di «diritti dei lavoratori e mai di diritti delle imprese», la seconda per sottolineare che per gli imprenditori i dipendenti (precari e non) «sono la loro famiglia». Poi ripete l'antico mantra della «competitività», come se non gli fosse arrivata la notizia che la profondità della crisi innescata dal Covid chiede risposte un po' più sensate dell'idea di "vincere sui mercati" in modo da far mangiare gli italiani affamando qualcun altro.

Conte è molto più abile del suo ministro, e interpreta la sua risposta a Bonomi in chiave vagamente degasperiana, se non addirittura laburista. Così non manca di ricordare agli industriali che la loro stagnazione c'era già prima del Covid e che già prima del lockdown «i lavoratori non entravano in fabbrica perché non si sentivano sicuri». Infine spiega che tutti quei soldi dati in cassa integrazione e sussidi vari a chi non ce la fa a campare, che scandalizzano Bonomi, servono «a tutelare il tessuto sociale ma anche l'efficienza produttiva». Conte sta lavorando per loro, chissà se gli industriali lo capiscono.

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