Cercasi disperatamente una donna per le primarie di Roma. Purché non sia del Pd. Succede che la travagliata e tardiva scelta dei dem di candidare Roberto Gualtieri ha provocato il ritiro della senatrice Monica Cirinnà dai gazebo del 20 giugno. Per vent’anni consigliera in Campidoglio, madre delle unioni civili, ambientalista e animalista, era in campo dalla scorsa estate. Martedì però, alla direzione del Pd romano, annuncia la fine della sua corsa, così riferiscono i presenti: «Per me si conclude un altro percorso, forse il sogno di mettermi in gioco per la mia città. Penso che la mia partecipazione avrebbe reso questa competizione più plurale», dice, e poi rivolta al segretario Enrico Letta: «Ma capisco tutto: c’è una sola strada. Enrico, ci sarò. Per me la forza unitaria del Pd vale di più di qualsiasi aspirazione personale».

«Enrico» in effetti aveva appena fatto un appello all’unità. Rivolto a tutti ma in particolare a lei. Secondo alcuni però la richiesta del ritiro verrebbe da Gualtieri: l’ex ministro, dopo due mesi trascorsi in freezer in attesa che il nazionale verificasse la possibilità di lanciare Nicola Zingaretti, ora vorrebbe convogliare tutti i voti del Pd sul suo nome. Dal quartier generale di Gualtieri arriva una smentita netta a questa ricostruzione: «È assolutamente falsa», «Letta ha chiesto unità su Gualtieri» e Cirinnà avrebbe deciso di conseguenza. Comunque la vittoria alle primarie dell’ex ministro è scontata, fin troppo. Il dubbio è sulle elezioni vere. I primi sondaggi lo danno terzo, quindi fuori dal ballottaggio. Ma è presto anche per i sondaggi; il candidato Pd ha ufficializzato la sua corsa da soli tre giorni.

Chi resta

Il ritiro di Cirinnà dispiace a Tobia Zevi, uno dei primi a lanciarsi: «Egoisticamente potrei gioirne, Monica sarebbe stata un’avversaria assai tosta. Invece è una brutta notizia perché non è accettabile che al momento siamo in quattro uomini; e perché Monica rappresenta delle battaglie e dei valori che devono essere fondanti per il centrosinistra a Roma», per questo promette di raccogliere il testimone dell’idea «di una città inclusiva e tollerante», «dell’animalismo» e «del rilancio del litorale romano». Paolo Ciani, portavoce di Demos, consigliere regionale e altro sfidante, invece è ottimista: «Le primarie sono imprevedibili. Esistono in città e nella coalizione molte sensibilità: tanti possono essere attratti da altri candidati e questo è uno degli aspetti importanti di questo tipo di consultazione, quello di allargare la partecipazione oltre gli “addetti ai lavori”».

Ma è proprio il rischio di non allargare la consultazione a mettere di malumore l’ala sinistra della coalizione romana, e in particolare il movimento Liberare Roma, che puntava su Cirinnà: «Le primarie senza donne non sono accettabili. E senza una competizione vera sono inutili», è la considerazione amara di Amedeo Ciaccheri, presidente dell’VIII municipio e portavoce del movimento, «Dovrebbero essere i candidati uomini a fermarsi e dire che senza una presenza di genere vera forte, non una figurina rosa, non si può tenere alcun processo partecipativo».

C’è ancora una decina di giorni per convincere una donna a partecipare. E salvare la faccia, dopo le indicazioni di Letta per il riequilibrio di genere con cui ha inaugurato la sua segreteria. Ma certo una candidatura in extremis o purché sia rischierebbe di essere una toppa peggiore del buco. Uscite di scena le ipotesi di donne democratiche, fuori dal Pd ha declinato l’invito l’ecologista Rossella Muroni. Si fa il nome di Marta Bonafoni, consigliera regionale femminista, molto impegnata in città con il suo movimento «Pop», ma anche lei non è interessata alla corsa. La caccia continua. Il segretario del Pd romano Andrea Casu rassicura: «Il percorso delle primarie è aperto alle candidature fino al 25 maggio. Non cerchiamo un uomo o una donna soli al comando ma la sfida collettiva della coalizione è rendere, attraverso la partecipazione, le donne di centrosinistra protagoniste della squadra che guiderà il riscatto di Roma e dei municipi».

La trattativa saltata

Ma la caduta della candidatura di Nicola Zingaretti non è un fatto solo romano. L’alleanza con i Cinque stelle va in crisi, il Pd sbanda. Francesco Boccia, l’uomo della trattativa con Conte sul nome del presidente della regione Lazio, parla di «reciprocità» fra Gualtieri e Raggi al ballottaggio. Gualtieri non prende neanche in considerazione l’idea di non andarci («è il periodo ipotetico della irrealtà», dice su La7) e annuncia che chiederà il voto agli elettori di Raggi «per cambiare Roma e cambiare pagina». Invece Debora Serracchiani, capogruppo alla Camera, propone «un dialogo stretto con Carlo Calenda» e «un campo largo» con lui. Ma Calenda è uscito dal Pd proprio quando il Pd ha dato vita al governo giallorosso. Insomma, la confusione avanza, e così la tendenza a prendere le distanze dai M5s. Letta assicura che la linea resta la stessa. Ma la realtà va in un’altra direzione: «La questione vera, politicamente rilevante e grave, è che l’ipotetica coalizione composta da Pd, Sinistra italiana, Verdi e Cinque stelle non esiste. Le difficoltà stanno sovrastando la volontà di stare insieme contro la destra reazionaria. Non ci sarà la coalizione a Roma, Milano, Bologna, Torino», dice Massimiliano Smeriglio, eurodeputato indipendente del Pd e, con Zingaretti e Goffredo Bettini, sostenitore della prima ora dell’asse Pd-M5s, «Noi combattiamo per tenere ferma l’unica linea possibile per non consegnarci all’irrilevanza. E invece vi è una certa forza inerziale del renzismo di ritorno. O forse qualcuno sta già aspettando Letta dopo il passaggio elettorale, pronto a presentargli il conto».

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