L’immagine della giornata è quella di Elly Schlein che al termine del premier time esce dall’emiciclo della Camera e cammina in Transatlantico, prendendosi i saluti e le pacche sulle spalle di congratulazioni dei deputati del Pd. Fino a raggiungere il suo portavoce, Flavio Alivernini, che batte il cinque, sotto lo sguardo soddisfatto di Matteo Orfini e dell’ex capogruppo dem a Montecitorio, Debora Serracchiani.

Negli stessi attimi Giorgia Meloni va via, a passi rapidi, nel corridoio adiacente all’aula con un cordone di commessi a proteggerla dai cronisti che provavano ad avvicinarla. Una blindatura legata comunque al ruolo istituzionale per evitare la ressa di cronisti.

Ma l’umore era un po’ diverso rispetto all’avversaria. In attesa dello scontro televisivo, il primo turno del duello tra le leader ha segnato una vittoria, per quanto molto parziale, della segretaria del Pd. La presidente del Consiglio aveva spadroneggiato in lungo e in largo durante il premier time a Montecitorio, ribattendo ai quesiti dei deputati, a cominciare da quello sulla guerra a Gaza fatto dal segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni.

A seguire spiccava la richiesta di chiarimenti sulle misure di risarcimento per gli eredi delle vittime del nazifascismo, formulata dal deputato di +Europa, Riccardo Magi. Meloni ha rivendicato l’impegno dell’esecutivo sul tema. Ha tirato dritto, senza alcun intoppo, insomma. Sulle privatizzazioni, domanda di Maurizio Casasco (Forza Italia), la presidente del Consiglio ha polemizzato: in passato sono stati fatti «regali miliardari a imprenditori amici, come il modello degli oligarchi russi quando si è dissolta l’Unione sovietica». Parole durissime contro il centrosinistra.

Il piatto forte

Ma è stato tutto un lungo antipasto, in attesa del piatto finale: il botta e risposta tra Meloni e Schlein. Il territorio del confronto è stato circoscritto – quello della sanità – e avvenuto in un lasso limitato di tempo, come prescritto dalle regole del question time del mercoledì alla Camera.

Due fattori tutti a vantaggio di Schlein, che ha potuto scegliere il campo di gioco e avere l’occasione della contro risposta, visto il meccanismo di illustrazione dell’interrogazione, risposta della premier e replica dell’interrogante. Le iniziali schermaglie sono state propedeutiche al tema del confronto: il limite della spesa per le assunzioni in sanità, contestato da Schlein.

«Il tetto alla spesa per il personale sanitario è stato introdotto nel 2009 e questo, negli anni, ha comportato il crescente ricorso ai contratti a termine e al devastante fenomeno dei medici gettonisti», ha sottolineato Meloni durante il suo intervento di risposta alla domanda di Schlein sui tagli. «Noi ci troviamo a fare i conti», ha insistito la presidente del Consiglio, «con una situazione che si è stratificata negli ultimi 14 anni». Con una chiusa ironica: «Grazie di fidarvi di noi per risolvere i problemi».

A quel punto, Serracchiani è scattata dal proprio scranno per avvicinarsi alla capogruppo del Pd, Chiara Braga, per ricordare che, 14 anni fa, nel 2009 c’era il governo Berlusconi. Una svista, quella della premier, che è diventata perfetta per smontare lo storytelling meloniano abile a scaricare sempre le responsabilità su “chi c’era prima”.

Schlein ha così affilato la replica: «Ero stata più delicata. Ha detto che nel 2009 è stato introdotto il tetto di spesa alla sanità. E sa chi era ministra nel 2009? Lei (con l’esecutivo di Silvio Berlusconi, ndr)». Un’uscita che ha raccolto gli applausi anche del Movimento 5 stelle, tra cui quelli di Giuseppe Conte. E uno scivolone della macchina di comunicazione di Fratelli d’Italia che ha prestato il fianco alla controffensiva della segretaria dem.

Certezze minate

Alla fine del premier time, la presidente del Consiglio esce con qualche certezza di meno in vista del duello tv. I rispettivi staff sono all’opera per definire i dettagli, per le date bisogna attendere l’accordo tra le parti. Per Schlein è anche il modo per placare i timori nel partito sul confronto televisivo, visto come un potenziale rischio. Un certo nervosismo si è palesato nel governo fin dalle prime battute.

Il solitamente loquace ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, non ha voluto parlare con i giornalisti che lo hanno sollecitato. Nella giornata in aula di Meloni, quello con Schlein è stato comunque l’unico incidente. Per il resto ha evitato i rischi, con lo stile sempre sprezzante, e ha provato a evitare la morsa a tenaglia tra Pd e Movimento 5 stelle, tenendo testa a Giuseppe Conte, che con l’interrogazione del M5s l’ha attaccata sul nuovo Patto di stabilità europeo.

L’accordo «mi ricorda quel meme di quando ordini qualcosa su internet e poi ti arriva a casa, diverso», ha ironizzato il capogruppo del M5s, Francesco Silvestri, in riferimento alle promesse disattese dalla leader di Fratelli d’Italia. L’intesa con Bruxelles è stata però difesa da Meloni come «la migliore possibile». Con l’ennesima frecciata al Superbonus: «La stagione dei soldi gettati al vento per pagarsi le campagne elettorali è finita». Conte ha sfruttato la contro replica e l’ha definita una «re Mida al contrario, che distrugge tutto quello che tocca».

La presidente del Consiglio ha motivo per ritenersi soddisfatta. È soprattutto uscita rinfrancata dall’approccio soft degli alleati: nessun tentativo di imboscata, anzi. La Lega, attraverso il capogruppo Riccardo Molinari, ha fornito l’assist per l’annuncio dei decreti legislativi sul “patto della terza età”, gli interventi per sostenere gli anziani, soprattutto quelli non autosufficienti. «Saranno discussi nel consiglio dei ministri di domani», ha annunciato Meloni seguendo un copione evidentemente già preparato con gli alleati. Concedendosi un piccolo grande spot.

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