«La colpa di Putin è di non volere sottomettere la Russia ai dettami del Nuovo ordine mondiale preconizzato da Soros». «La democrazia in Occidente è in pericolo non per Putin, ma per un’élite tecnocratica che sta distruggendo le sovranità popolari». E ancora: «Obama vuole spingerci alla guerra contro Putin».

Così scriveva sul suo blog, ospitato sul sito del Giornale, Giampaolo Rossi, manager Rai, fedelissimo di Giorgia Meloni e in questi giorni in prima fila per il posto di nuovo direttore generale della Rai, dopo che in autunno era stato scartato dalla rosa dei possibili ministri della Cultura per via delle sue critiche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella (nel 2018 lo aveva paragonato a Dracula e, in sostanza, accusato di golpe).

Nato a Roma nel 1966, esperto di comunicazione e nuovi media, Rossi è anche direttore scientifico della fondazione An e un militante e intellettuale da sempre vicino alla destra sociale.

Negli ultimi anni si è anche trasformato in un complottista (per sua stessa definizione) e in un arci-putinista, convinto che il presidente russo costituisca «l’unica speranza per scongiurare una crisi internazionale senza ritorno» e un argine a difesa dei valori tradizionali contro le élite mondialiste che vorrebbero annacquare l’identità dei popoli bianchi.

L’arciputinista

Sul suo blog, che ha aggiornato fino al 2018 e che è stato spulciato da Domani, Rossi appariva quasi ossessionato da Putin e dal complotto del Nuovo ordine mondiale. «Pensare che la Russia stia per invadere l’Europa – scriveva nel 2018, quattro anni dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina – è solo il frutto di una schizofrenia indotta».

I timori europei causati dall’atteggiamento aggressivo della Russia? Soltanto una narrazione che «affonda le sue radici nei secolari interessi imperiali di Londra» e che oggi si sposano «con gli interessi dell’élite globalista». Ma d’altro canto ci sono ragioni per cui le élite mondiali dovevano sentirsi minacciate da Putin. Nel 2017, Rossi era certo che la Russia e la Cina avessero messo in moto una «complessa strategia geo-economica di “de-dollarizzazione” del mondo» volta a «scardinare il dominio finanziario del dollaro e con esso il potere globale degli Stati Uniti». Non sembra sia finita bene.

Spaventate da Putin, le élite avrebbero creato ad arte, in «laboratorio», dei nemici interni da contrapporgli. Putin però, magnanimamente, non li perseguitava più di tanto. La condanna dell’oppositore Aleksej Navalny nel 2017 a 15 giorni di carcere per aver organizzato manifestazioni non autorizzate «è minore di quanto si sarebbe preso in Italia per lo stesso reato», scriveva Rossi. Lo stesso Navalny, in ogni caso, «viene formato nei laboratori universitari americani collegati all’élite mondialista in connessione con la Cia». Navalny, sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento, si trova in prigione con una condanna a 8 anni ed è oggetto di una nuova indagine per cui rischia l’ergastolo.

Il grande complotto

Il grande complotto delle élite è l’altra ossessione che unisce decine di post nel blog del papabile direttore generale della Rai. «Guai a chi si oppone ai disegni del Nuovo ordine mondiale», metteva in guarda in uno dei suoi articoli. Secondo Rossi, il principale esponente di questo complotto è il miliardario ungherese George Soros, «speculatore globalista con il vizietto di destabilizzare governi democraticamente eletti» e vero architetto dei «processi migratori per alterare gli equilibri demografici secondo quella “etica del caos” tipica dell’umanitarismo ideologico della élite». Rossi ci tiene a ricordare che Soros è «ebreo», ma «di origine ungherese», e lo paragona al mostruoso Shelob di Tolkien, «il malefico essere a forma di ragno».

La vena anti-élite e pro Putin è una relativa novità di Giampaolo Rossi. La mutazione risale probabilmente alla caduta del governo Berlusconi, quando Rossi dichiara: «Sono un complottista». Seguendo le varie incarnazioni del suo blog prima di essere ospitato sul Giornale, si scopre che nei primi anni 2000 si definiva invece un «liberale, neocon, teocon». Tra i post di quegli anni si trova anche una delicata ode a Giorgia Meloni, appena eletta vicepresidente della Camera: «Piccola piccola tra tutti quegli onorevoli grandi, grandi». In quegli anni scrive che Obama è «un afro di Honolulu», ma allo stesso tempo i pacifisti che protestavano contro la guerra in Iraq andavano denunciati di «"crimini contro l'umanità", perché è la loro indifferenza, il loro egoismo che ha prodotto più vittime di Stalin ed Hitler messi assieme».

Rossi oggi

Dal 2018, quando entra nel consiglio d’amministrazione della Rai, Rossi cessa le pubblicazioni sul blog e dirada i suoi interventi. Non prima però di aver attaccato frontalmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la sua gestione delle consultazioni prima della nascita del governo giallo-verde nel 2018: «Napolitano aveva abbattuto un governo legittimo; Mattarella ha impedito che nascesse». Con l’arrivo della pandemia diventa critico sui vaccini (le parole di Mattarella in proposito sono «inquietanti») e sul green pass, tanto che l’Espresso lo definisce «ideologo Novax di Giorgia Meloni». Nell’ultimo anno, quello dell’apparente transizioni di Meloni e Fratelli d’Italia al conservatorismo, nel quale Rossi ha fornito più di un aiuto intellettuale, Rossi sembra avere deciso di parlare d’altro. Pressoché impossibile trovare una sua dichiarazione sulla guerra in Ucraina, che fino a poco tempo fa definiva una provocazione Nato nei confronti della Russia. Difficile anche perché da qualche mese ha cancellato i suoi profili Twitter e Facebook.

Nel 2015, dopo l’intervento di Putin in Siria che, a suo dire, aveva riabilitato l’immagine del presidente russo, Rossi scriveva che gli intellettuali che criticavano il presidente russo avrebbero dovuto scusarsi per aver scritto «l’ennesima minchiata». Forse oggi questo consiglio potrebbe applicarsi anche a lui.

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