Cosa è successo davvero tra l’istituto di ricerca Spallanzani di Roma, centro di eccellenza sulle malattie infettive, e la Russia di Vladimir Putin? Perché l’Italia, ai tempi dei governi Conte, si è prestata a una operazione di politica sanitaria e propaganda gestita direttamente dal Cremlino? Quali interessi c’erano in gioco? Nell’inchiesta di Andrea Casadio che inizia oggi ecco finalmente le risposte. 


E’ il 30 gennaio 2020. Alle sette di sera, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro della salute Roberto Speranza, annuncia: «Sono confermati i primi due casi in Italia di persone contagiate da coronavirus. Si tratta di due turisti cinesi».

Sono due cittadini cinesi originari della provincia di Wuhan, marito e moglie, 66 e 67 anni. Sono arrivati il 23 gennaio all’aeroporto di Milano Malpensa, e da lì hanno iniziato un tour che li ha portati a Verona, Parma, e poi Roma.

A Roma i due alloggiano all’Hotel Palatino, nei primi giorni visitano i Fori e i Musei Vaticani, poi il marito si ammala, gli viene la febbre e una brutta tosse, durante la notte del 29 gennaio le sue condizioni peggiorano, e la signora inizia a preoccuparsi.

Il direttore dell’hotel chiama l’ambulanza: «Venite subito, c’è un turista cinese proveniente da Wuhan che ha una brutta influenza con febbre altissima e fa fatica a respirare».

Quando sentono che si tratta di un turista cinese proveniente da Wuhan con brutti sintomi influenzali, gli operatori del 118 hanno subito un brutto presentimento: che si tratti di un caso di Covid-19. Allertano gli addetti dell’ambulanza, che prelevano il malato e lo portano all’Istituto Spallanzani, l’ospedale di Roma specializzato in malattie infettive.

All’Ospedale Spallanzani, i medici, che per precauzione hanno indossato tute isolanti, visitano il turista cinese, capiscono che ha una polmonite bilaterale in evoluzione, e decidono di fargli subito un tampone molecolare, che risulta positivo, e poi lo fanno alla moglie, positiva anche lei.

Il SARS-CoV-2 è ufficialmente arrivato in Italia. Marito e moglie vengono messi in isolamento, e resteranno ricoverati per una ventina di giorni.

Quello stesso giorno, l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara lo stato di emergenza internazionale per la pandemia da Covid-19: nel mondo, i casi accertati di Covid sono 7834, di cui 7736 in Cina, e a causa della malattia sono decedute 170 persone, tutte in Cina.

Conte ostenta tranquillità: «Non ci siamo fatti trovare impreparati. Possiamo tranquillizzare tutti i cittadini, la situazione è sotto controllo».

Caccia al virus

Nel frattempo, gli esperti scienziati dell’Istituto Spallanzani, guidati dalla dottoressa Maria Capobianchi, una virologa esperta con un curriculum stellare e centinaia di pubblicazioni sulle riviste scientifiche più importanti al suo attivo, esaminano i campioni prelevati dei due turisti cinesi, e in sole quarantotto ore riescono ad isolare il virus 2019-nCoV, come veniva allora chiamato il nuovo agente responsabile del Covid-19, che verrà poi denominato Sars-CoV-2.

Come è ormai noto, il virus appartiene alla famiglia dei Coronavirus, ed era già stato isolato a Wuhan, in Cina, negli Usa e in pochi altri Paesi del mondo, ma l’Italia è il primo Paese in Europa ad aver raggiunto questo risultato fondamentale.

Solo se riesci ad isolare un virus e a mantenerlo vivo in coltura, poi hai i mezzi per sviluppare il vaccino e farmaci contro quel virus, e a perfezionare metodi diagnostici per il suo riconoscimento.

Gli scienziati dello Spallanzani che avevano isolato il coronavirus ed erano riusciti a mantenerlo vivo in colture cellulari possedevano una miniera d’oro che faceva gola a molti. Per capire il perché bisogna spiegare alcune questioni tecniche.

Tutti i virus, e anche il Sars-CoV-2, non riescono a replicarsi da soli perché non possiedono alcuni apparati molecolari necessari a duplicare il loro patrimonio genetico, che invece possiedono le cellule degli animali superiori come l’uomo. Per moltiplicarsi, un virus deve necessariamente infettare una cellula ospite, dalla quale prende a prestito gli apparati molecolari di cui è sprovvisto e che utilizza per produrre le due copie del genoma, uno per ogni virus “figlio”.

Gli scienziati dello Spallanzani prendono i campioni prelevati dal signore cinese contenenti il coronavirus, e li seminano su speciali cellule in coltura chiamate Vero, ottenute da scimmie verdi africane e perciò molto simili a cellule umane, nelle quali il virus inizia a moltiplicarsi.

Le cellule in coltura infettate a poco a poco si riempiono di virus, si rigonfiano e poi esplodono – un fenomeno che è visibile ad occhio nudo e viene denominato effetto citopatico – liberando altre migliaia di copie del virus che invadono quelle vicine, dove ricomincia il processo.

Gli scienziati dello Spallanzani notano che in poche ore il virus provoca un effetto citopatico su vaste aree delle colture cellulari, indice dell’avvenuta replicazione virale.

Isolare il virus

Premier Giuseppe Conte, left, talks with Health Minister Roberto Speranza after he delivered his speech at the Senate, in Rome, Tuesday, Jan. 19, 2021. Conte fights for his political life with an address aimed at shoring up support for his government, which has come under fire from former Premier Matteo Renzi's tiny but key Italia Viva (Italy Alive) party over plans to relaunch the pandemic-ravaged economy. (Andreas Solaro/Pool via AP)

Il 3 febbraio, gli scienziati dello Spallanzani annunciano che sono riusciti ad isolare il virus, e ad ottenere una sequenza parziale del suo genoma, che, denominata 2019-nCoV/Italy-INMI1, viene subito depositata nel database GenBank, a disposizione della comunità scientifica internazionale. “Abbiamo isolato il virus”, afferma con un’aria di trionfo il ministro della Salute Roberto Speranza.

Il direttore scientifico dell’ospedale, Giuseppe Ippolito, spiega che «l’isolamento del virus permetterà di migliorare la risposta all’emergenza, di conoscere meglio i meccanismi di contagio e diffusione dell’epidemia e di predisporre le misure più appropriate. È un passo fondamentale che permetterà di perfezionare i metodi diagnostici esistenti ed allestirne di nuovi». E poi, aggiunge, ora che abbiamo il virus isolato in coltura «sarà più agevole studiarlo per capire come bloccare la diffusione delle patologie respiratore acute che provoca, e mettere a punto un vaccino».

In questa frase sta la chiave di tutto: chi riesce a isolare il virus e a mantenerlo vivo in coltura poi può mettere a punto il vaccino.

Pochi giorni dopo, il 14 febbraio, lo stesso gruppo di scienziati comunica di aver portato a termine il sequenziamento dell’intero genoma del coronavirus “italiano”, che risulta molto simile al ceppo originario di Wuhan.

«Il risultato ottenuto dai nostri virologi – commenta Marta Branca, direttore generale dell’istituto – è una ulteriore testimonianza dell’eccellenza scientifica dello Spallanzani». Si tratta di un "dream team” composto dalla dottoressa Maria Rosaria Capobianchi, direttrice del laboratorio di Virologia, e poi da Francesca Colavita, Concetta Castilletti, Fabrizio Carletti e Antonino Di Caro.

L’Italia poteva andare fiera di loro. Isolare un virus in coltura può sembrare facile ma non lo è affatto. Servono esperienza e competenze tecniche, serve un laboratorio ad alta sicurezza con personale preparato ed esperto che posso maneggiare un materiale così pericoloso in sicurezza: allora non c’erano vaccini né farmaci, e chi si infettava col coronavirus rischiava la morte.

Avere il virus “in coltura” in laboratorio è fondamentale. Ti permette di avere una gran mole di materiale biologico dal quale isolare il virus e ricavare il suo genoma. Ma non solo. Le linee cellulari nelle quali viene coltivato un virus sono immortali, ossia esse si replicano all’infinito, e con esse il virus.

Chi possiede una coltura cellulare nella quale si riproduca un virus, specialmente se si tratta di un virus nuovo e sconosciuto, possiede un tesoro perché su quel virus vivo può effettuare ogni tipo possibile di sperimentazione.

Può studiare come il virus provoca danni alle cellule, per capire i meccanismi della malattia; può testare farmaci efficaci nel contrastare la sua crescita; può perfezionare metodi di diagnosi che permettano di riconoscere la sua presenza. Ma soprattutto, solo se hai a disposizione il virus vivo in coltura puoi produrre un vaccino.

Molte nazioni del mondo e tutte le grandi compagnie farmaceutiche si erano lanciate in una gara per produrlo per primi.

Gli scienziati dello Spallanzani avevano isolato il virus vivo, e noi italiani avremmo potuto sviluppare un vaccino o nuovi farmaci. Ma non siamo riusciti a fare né uno né l’altro.

L’Italia ha quasi rinunciato alla competizione, oppure ha scelto di favorire altri paesi. Indovinate quali, e perché.


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