Fino a poche settimane fa, per Giorgia Meloni la vittoria in Abruzzo sembrava scontata. Oggi la partita è aperta. Già questo vuol dire che qualcosa è cambiato, a livello nazionale. Ma il voto di domenica non è solo incerto, come lo era quello in Sardegna, ma di importanza cruciale.

Per il suo valore simbolico, certo, e perché questo si lega a scelte politiche concrete da cui può dipendere il destino di questa maggioranza e delle istituzioni, quindi il destino dell’Italia.

Per prima cosa si tratta di capire se quello in Sardegna sia stato, per le opposizioni, solo un episodio o l’inizio di una fase nuova. Certo. Ma qui la posta in gioco simbolica è anche più ampia. Marco Marsilio è un fedelissimo di Meloni ed è presidente uscente, su di lui si misura il buon governo (o il mal governo) della nuova destra, senza più alcun alibi.

Dall’altra parte Luciano D’Amico è un professore di economia aziendale molto stimato, per quello che ha fatto come rettore dell’Università di Teramo e anche perché, da manager, ha saputo risanare i conti dell’Arpa, le autolinee regionali; in questa regione è nato, cresciuto e vive, all’opposto di Marsilio. D’Amico rappresenta, senza alcun dubbio, la migliore classe dirigente di cui dispone oggi l’Abruzzo e, non a caso, è riuscito a coalizzare tutte le opposizioni.

La politica dietro i simboli

Dietro i simboli però c’è la politica. L’Abruzzo di Marsilio sta diventando un caso esemplare di una sanità pubblica al collasso, per mala gestione e per mancanza di finanziamenti. L’Abruzzo poi è stato privato, proprio da Meloni, dell’alta velocità Roma-Pescara, un’opera fondamentale che era prevista dal Pnrr.

Ora il governo promette di rifinanziarla, ma con fondi ordinari, cioè con fondi che spetterebbero già di diritto all’Abruzzo, per altre opere, e ovviamente allungando dei tempi. Più in generale, la maggioranza lascia intendere che se la regione resterà in «filiera» con Roma avrà un occhio di riguardo: a parte che finora è stato vero il contrario, si tratta di una logica deplorevole per gli standard di una democrazia liberale.

La verità, però, è che con ogni probabilità accadrà l’esatto opposto: l’autonomia differenziata farà a perdere anche all’Abruzzo, come a tutte le regioni del sud, consistenti, indispensabili risorse. La realtà è che la sanità pubblica rischia di saltare completamente, si cureranno solo i ricchi o chi potrà andare in un’altra regione. Mancheranno i fondi non solo per le infrastrutture nuove ma per la manutenzione di quelle esistenti, oltre che per i servizi sociali e l’amministrazione.

L’autonomia differenziata

Detta altrimenti: l’Abruzzo è la prima regione a statuto ordinario, del sud, che va al voto mentre è in corso l’iter dell’autonomia differenziata ed è, al contempo, una roccaforte e una regione simbolo per Meloni.

Cosa succederebbe se la premier fosse sconfitta qui? Avrebbe la forza e il coraggio di portare avanti l’autonomia differenziata, dovendo mettere in conto di perdere in tutto il Mezzogiorno? O si tirerebbe indietro? E cosa farebbe la Lega in quel caso, che ne sarà dello “scambio” sul premierato? Che ne sarà dell’attuale maggioranza?

Ecco perché il voto in Abruzzo non è importante solo per questa regione, né è solo un test simbolico cruciale, fra le opposizioni unite e una roccaforte di Meloni, specie dopo la Sardegna.

Ma è un voto politico che può mandare in crisi la maggioranza e da cui dipende, per questo, la possibilità di aprire una nuova stagione politica in Italia; o almeno, di evitare lo sfascio del paese e lo stravolgimento delle istituzioni.

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