Se la pallina della roulette finisse sulla casella del numero di Mario Draghi – considerato nel Quirinal game il numero uno per antonomasia – Enrico Letta sarebbe fra i giocatori vincenti, o per lo meno fra quelli che porterebbero a casa la posta più alta.

Per tre motivi. Il primo: il segretario Pd è stato a lungo l’unico capo di partito a non bocciare la corsa del premier verso il Colle, iniziata (un po’ maldestramente) il 22 dicembre scorso con la conferenza di fine anno. Esponendosi progressivamente al sospetto di voler far cadere anzitempo la legislatura per ridisegnare i propri gruppi parlamentari, Letta ha pazientemente tenuto l’ipotesi in campo mentre tutti gli altri segretari di maggioranza la bocciavano più o meno apertamente.

Posizione che non è cambiata fino alla riunione della direzione Pd di sabato scorso, quando invece ha parlato della necessità di una figura che garantisca «stabilità nell’azione di governo», per rassicurare i suoi parlamentari: perché espressione esclude un cambio a palazzo Chigi. Il secondo motivo: Letta non teme il voto anticipato, ma neanche lo vuole provocare.

Eppure è sempre più convinto che al Colle l’unica elezione a larga maggioranza, e la meno dolorosa per il Pd, sia proprio quella di Draghi. Eccezion fatta per la rielezione di Sergio Mattarella, che però al momento non sarebbe gradita alla Lega. Solo scegliendo Draghi, dunque, si eviterebbero i temutissimi scossoni di un’elezione con una maggioranza diversa da quella del governo, che è la precondizione per mantenere la legislatura in piedi. Il terzo motivo, infine, è un ragionamento mai fatto in chiaro, ma che circola fra i dirigenti più vicini al segretario: con l’ex capo della Bce al Qurinale finisce la stagione dei «tecnici», e dopo lo scampolo finale della legislatura, la palla dell’azione di governo torna alla politica. 

Torna la dialettica fra destra e sinistra, quella di un «paese normale». Finisce, è la convinzione, la stagione delle intese bipartisan e della responsabilità ad oltranza del Pd, stagione di poche luci e molte ombre. «Se diventiamo la protezione civile della politica, diventiamo il partito del potere. E se siamo il partito del potere, noi moriamo», sono le parole di Letta nel primo discorso da segretario. Anche se questo dovesse significare mandare il centrosinistra all’opposizione. Ma Letta, che ha riportato il Pd ad essere il primo partito, almeno nei sondaggi, è convinto di vincere le elezioni. 

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