Il Movimento 5 stelle non ha una linea sulle prossime elezioni del capo dello stato, per usare un eufemismo. I maggiorenti hanno idee fra loro in contrasto e interessi non sovrapponibili e le assemblee dei gruppi parlamentari di Camera e Senato con i dirigenti di partito di questi giorni stanno aumentando il livello di confusione. 

Giuseppe Conte

La linea del presidente è forse la più difficile da individuare. In un primo momento Conte non ha escluso la prospettiva di una posizione elaborata insieme al Pd di Enrico Letta.

Il successivo incontro con il segretario del Pd e Roberto Speranza di Leu non ha dato però il risultato sperato, e mentre Letta continua a battersi per tenere Draghi a palazzo Chigi, Conte si è mosso in diverse direzioni.

Diverse settimane fa ha raccolto le aperture arrivate da Silvio Berlusconi sul reddito di cittadinanza, creando un inedito asse Cinque stelle-centrodestra, una strategia che però non ha avuto seguito. Negli ultimi giorni ha invece cercato di proporre un proprio nome.

Prima, genericamente «una donna», poi identificata in una riunione interna nel nome di Silvana Sciarra, giudice costituzionale. Ma nelle ultime ore la sua posizione è cambiata di nuovo. 

Il suo capodelegazione nel governo, Stefano Patuanelli, nello stesso giorno è riuscito ad augurarsi che Draghi rimanesse presidente del Consiglio e a certificare l’apertura al passaggio dell’ex banchiere centrale al Colle.

Ma il vicepresidente, Michele Gubitosa, martedì mattina ha rilanciato, facendo suoi (e di Conte) i desiderata dell’assemblea dei senatori: «Il Mattarella bis è sempre stato la prima preferenza del M5s». 

Luigi Di Maio

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Il ministro degli Esteri, esposto a minore pressione, può tenere aperte tutte le strade.

Oltre a un rapporto ormai solido con il presidente del Consiglio, il ministro è in costante contatto con Giancarlo Giorgetti e Matteo Renzi, ma gli vengono attribuiti rapporti stretti anche con i ministri del Pd Dario Franceschini e Lorenzo Guerini.

Una rete che copre tutto l’arco parlamentare, e che gli permette di immaginare una doppia strategia che gli consentirebbe o di restare al suo posto o addirittura di approfittare del vuoto che si potrebbe venire a creare a palazzo Chigi nel caso in cui Draghi traslocasse al Colle. 

Con Draghi al Quirinale, il ministro potrebbe contare su un solido alleato anche in futuro. Di Maio ha inoltre interesse a non andare al voto per non perdere la sua pattuglia di fedelissimi alla Camera e per restare azionista di maggioranza di un’alleanza di governo che potrebbe aver bisogno una guida temporanea prima di far tornare il paese al voto.

I gruppi parlamentari

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Il vasto gruppo di deputati e senatori Cinque stelle è spaccato. Prevale però il desiderio di evitare il voto a tutti i costi.

Dopo il taglio dei parlamentari e con gli attuali sondaggi tanti sanno che non saranno rieletti, e c’è ancora da risolvere l’eterna questione dei due mandati.

Conte ha promesso che avrebbe chiesto alla base di pronunciarsi su una deroga, ma non ha ancora dato seguito alle sue parole.  

In questa prospettiva i parlamentari sarebbero disposti a convergere quasi su qualsiasi nome che permetta di tenere Draghi a palazzo Chigi e arrivare a chiudere la legislatura.

Quello più autorevole è uscito nell’assemblea dei senatori di lunedì pomeriggio: Sergio Mattarella.

Oltre a sposare la linea del Pd, i senatori hanno chiesto che Conte fosse accompagnato nelle trattative dai due capigruppo, Davide Crippa e Mariolina Castellone.

I due sono espressione degli interessi dei gruppi parlamentari: Crippa è riuscito a raccogliere il consenso dei deputati, di cui molti in rotta con Conte, mentre Castellone è riuscita a imporsi sul candidato di Conte Ettore Licheri, costringendolo a un compromesso che l’ha visto uscire dal confronto con i senatori con le ossa rotte. 

Il contesto 

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Le stesse linee contraddittorie che si trovano tra i parlamentari dividono anche l’elettorato dei Cinque stelle. Restano alcuni punti fermi, ad esempio l’opposizione all’elezione di Berlusconi.

C’è anche chi segue la linea del Fatto Quotidiano, un tempo organo di riferimento soprattutto dei contiani, che punta su un outsider, nella speranza di recuperare la purezza di una volta. 

La candidatura della senatrice a vita Liliana Segre è però tramontata quasi immediatamente con il rifiuto della senatrice. 

Anche Beppe Grillo si tiene alla larga dalla questione, a differenza di quanto era successo alle elezioni del capo dello stato nel 2013, quando il Movimento aveva tenuto le prime Quirinarie in cui gli eletti e il comico avevano lanciato nomi come quelli di Milena Gabanelli, Gino Strada e Stefano Rodotà. 

Anche nel 2015 Grillo aveva contribuito a organizzare le consultazioni online, da cui era uscito vincitore e quindi candidato Fernando Imposimato, allora presidente onorario aggiunto della Corte di cassazione.

A cavallo tra novembre e dicembre del 2021 il fondatore era atteso a Roma per un confronto con maggiorenti ed eletti, ma l’incontro non si è mai concretizzato, così come la visita della segreteria di Conte a casa del comico.

Non è da escludere però che Grillo si palesi nei giorni caldi della votazione, com’è avvenuto durante le trattative per la formazione del governo Draghi, in cui si è appropriato del ruolo di protagonista accompagnando i responsabili durante le consultazioni e costringendo il Movimento a un’inversione di rotta. 

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