Un’azienda congelata. A viale Mazzini non si muove foglia. E tutti sanno che questa situazione non è destinata a cambiare, anzi. Può andare soltanto peggio, come stanno provando sulla loro pelle i giornalisti del Tg2, che mercoledì hanno visto l’edizione principale del telegiornale fermarsi al 3,1 per cento di share. Peggio ancora Tg2 Post, che si è fermato al 2,2 per cento.

Ascolti definiti «avvilenti» da una mail del comitato di redazione indirizzata al direttore, al quale i rappresentanti sindacali hanno chiesto un incontro urgente. Peccato che Antonio Preziosi, mentre veniva siglata la tregua tra Israele e Hamas, era impegnato a presentare il suo libro insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani, considerato suo principale sponsor.

Alla presentazione c’era anche il caporedattore Esteri, Marco Sabene. Risultato: il telegiornale è andato in onda con un solo servizio dedicato e un collegamento con il corrispondente. Per dire, il Tg1 aveva quattro servizi e due collegamenti.

«Ma non c’è bisogno di guardare l’edizione di mercoledì», sussurrano in azienda. «Che titoli e sommari li facciano i vicedirettori, tanto se lui c’è oppure no non fa differenza, lo sanno tutti».

Ma è solo l’ultimo problema con cui a viale Mazzini non vogliono fare i conti. Con lo smart working annunciato per tutti i dipendenti Rai di stanza nella sede principale per risolvere un annoso problema di amianto, l’attività della dirigenza – già praticamente inesistente – rischia di rallentare ulteriormente. Eppure ci sarebbe anche da pensare ai palinsesti 2025/2026.

A luglio, quando andranno presentati, manca ancora parecchio, ma, osservano, «è l’ultima cartuccia che possiamo sparare prima che la politica inizi a pensare solo alla campagna elettorale». E poi c’è la questione Report, che ogni settimana fa arrabbiare una forza politica, spesso e volentieri della maggioranza. Sotto accusa c’è sempre il solito direttore degli Approfondimenti, Paolo Corsini, mentre l’amministratore delegato, Giampaolo Rossi, resta defilato.

Nonostante la destra lo chieda, nemmeno a viale Mazzini per il momento si azzardano a «intervenire» su uno degli ultimi programmi storici di Rai 3. «Eppure, la soluzione sarebbe facile, basterebbe cavalcare le polemiche e mostrare come Report sia la dimostrazione del fatto che TeleMeloni non esiste», osserva un dirigente.

Nodo Vigilanza

Per non parlare delle nomine da fare. Il capro espiatorio contro cui tutti puntano il dito per motivare i ritardi è «la politica». Il voto di conferma della presidente designata, Simona Agnes, in commissione di Vigilanza ieri è andato a monte ancora una volta. Il centrodestra ha scelto di boicottare nuovamente la seduta. La presidente M5s, Barbara Floridia, ha scritto una lettera ai presidenti di Camera e Senato per denunciare la situazione, ma le convocazioni continuano ad assomigliare al giorno della marmotta.

L’impressione è però che nella maggioranza – eccezion fatta per Forza Italia – la questione sia ormai di importanza secondaria. Per la Lega la situazione può anche rimanere quella attuale, con il consigliere anziano facente funzione, Antonio Marano, a tenere il timone dell’azienda. Fratelli d’Italia ha avuto il suo amministratore delegato ed è soddisfatto. «In fondo, Foa e Soldi non è che abbiano lasciato questi ricordi così indelebili», è il ragionamento che rimbalza. Così lo stallo continua. E si riversa a cascata sui livelli più bassi.

«Stiamo diventando Rai interim», sospira un dirigente. Effettivamente, di nomine piene nel triangolo Mazzini-Teulada-Saxa Rubra non se ne vedono da tempo. A dicembre la governance è uscita dall’impasse rinnovando la direzione ad interim di Pierluca Terzulli al Tg3, trasferendo quella della Tgr a Roberto Pacchetti e assegnando quella di Rai Sport a Massimiliano Mascolo.

In proroga c’è anche Paolo Petrecca a Rai News, mentre l’interim di San Marino l’ha preso in mano il direttore generale Roberto Sergio, e in sospeso c’è anche la direzione di Rai Sostenibilità, rimasta orfana dopo che Roberto Natale è diventato consigliere d’amministrazione.

«Lasciare la Rai con tre testate ad interim, perché la politica detta modi e tempi, è grave e non più sopportabile», dice il segretario Usigrai riconfermato Daniele Macheda. La prossima riunione del cda è in programma per il 29 gennaio e, invece di dare qualche certezza (se non, forse, la nomina di Stefano Coletta come coordinatore dei generi), potrebbe aprire nuovi dubbi. In scadenza c’è infatti anche Rai Italia, mentre a Radio Rai dovranno presto salutare Francesco Pionati – e i suoi aperitivi irpini a base di caciocavallo impiccato – che a luglio compie 67 anni.

Ma sono tutte questioni che verranno risolte più in là, così come conferme e ridistribuzioni delle direzioni di genere. «La politica non si muove», va ripetendo Rossi ai suoi direttori. Ma la consapevolezza è che prima della primavera difficilmente si sbloccherà qualcosa. A febbraio il cda cade ad appena una settimana di distanza dalla fine di Sanremo. «Ti pare che tutte le questioni si risolvano in una manciata di giorni?». E siamo già a marzo.

© Riproduzione riservata