«Quello tra stato e Confindustria è un grande conflitto di interessi», dice Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria. Il prezzo del gas è schizzato ancora, e in Italia si sta creando un’inedita battaglia tra le imprese dell’energia e le industrie energivore fuori dalla cerchia di Confindustria. Sullo sfondo l’accusa allo stato e ai politici in campagna elettorale di mostrare scarsa sensibilità al mondo manifatturiero che soffre per le bollette altissime e a Confindustria di non battersi abbastanza. 

Confindustria, dopo l’uscita di Fca, ha tra gli azionisti di maggioranza proprio le compagnie dell’energia. E mentre viale dell’Astronomia tace sulle società accusate di macinare miliardi di extraprofitti con i super prezzi del metano, arriva l’appello della Confederazione dell’industria manifatturiera: «La mancata sensibilità e conoscenza del mondo industriale da parte di chi ha responsabilità politica sulle dinamiche produttive, oggi rischia di mandare in default il nostro sistema industriale», recita una nota di Paolo Agnelli, industriale bergamasco del settore dell’alluminio e presidente di Confimi Industria.

L’accusa a Bonomi

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Nel mondo delle imprese, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e imprenditore del settore biomedicale, viene tirato direttamente in ballo: «Del resto - dice Agnelli - finché ci saranno associazioni degli industriali che non sono rappresentate da “industriali” e finché non verranno liberate da interessi contrapposti avremo queste grandi problematiche». Gli interessi di chi vende energia appunto e di chi la consuma: «Non si possono rappresentare al tempo stesso le società fornitrici di energia e le imprese energivore».

Il presidente di Confimi denuncia che la manifattura sta capitolando per i costi energetici. «Molte imprese – racconta - stanno chiudendo per essenza di componenti. Per molti anni, infatti, si è preferito approvvigionarsi dei semilavorati all'estero e abbiamo perso molte filiere interne. Ora che scarseggiano i componenti è difficile continuare a produrre».

Lo stato invece «non può essere azionista di aziende che detengono l’esclusiva delle vendite di energia e fare utili smisurati ai danni di cittadini e imprese per poi piangere lacrime di coccodrillo».

Mentre si parla addirittura di un futuro per l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, come ministro di un ipotetico governo di centrodestra, Eni ed Enel sono di fatto «fra i più grandi contribuenti di un corpo intermedio che dovrebbe rappresentare l'industria in vasta scala». E Confindustria «sta zitta. Dovrebbe lanciare l’allarme: sono associate le acciaierie, le ceramiche, ma Bonomi non esce a gridare sul più grave problema delle industrie manifatturiere del secolo e questo perché c’è un conflitto di interessi».

La campagna elettorale

Nel primo semestre del 2022 Eni ha fatto utili del 600 per cento più alti rispetto ai primi 6 mesi del 2021. Gli ambientalisti ed Europa Verde hanno chiesto di intervenire. Adesso Confimi si aggiunge, spiegando che l’esecutivo di fatto sta beneficiando indirettamente di questa situazione. «Anche con la riduzione al 5 per cento dell’Iva sul metano prevista dai decreti, nei fatti con l’aumento dell’imponibile, l’Iva che incassa lo stato è due volte e mezza quello che prendeva prima».

Subito dopo le elezioni del 25 settembre, l’Autorità dell’energia dovrà aggiornare i prezzi per le bollette di ottobre. I costi del metano non solo continuano a non calare, ma oggi hanno raggiunto la cifra record di 292 euro al megawattora a seguito della minaccia di una nuova chiusura del gasdotto Nord Stream che unisce Russia e Germania. Un anno fa era 27 euro. Una situazione che renderà necessari nuovi aiuti.

Il prelievo sugli extraprofitti delle compagnie energetiche tuttavia ha dato frutti molto più bassi di quelli sperati. Agnelli lancia un appello: «Si liberi l’Italia da queste inefficienze e da questi conflitti di interesse. Ai nuovi futuri governanti torno a ribadire l'importanza di ascoltare le industrie piccole, medie o grandi purché libere da conflitti di interesse».

Il presidente di Confimi aggiunge una serie di proposte. «Serve il price-cap sul gas e sull’energia elettrica come han fatto Spagna e Portogallo». L’ipotesi, anche se non ancora definita nei dettagli, è stata avanzata dal segretario del Pd Enrico Letta, che ha parlato del controllo dei prezzi dell’energia elettrica, con l’introduzione in via transitoria per 12 mesi di un regime di prezzi amministrati attraverso un tetto nazionale al prezzo dell’elettricità (100 euro/MWh) per imprese e utenze domestiche. A seguire più efficienza e energia rinnovabile.

Finora il tema sembrava relegato in un angolo. Dal canto suo Giorgia Meloni in passato aveva lodato il progetto di tetto al prezzo portato avanti dal presidente Mario Draghi – a cui starebbe chiedendo direttamente consiglio – e dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani.

«Abbiamo parlato direttamente con Mario Draghi insieme ad altre associazioni» ricorda Agnelli, ma «l’Unione europea sul price cap ha dato appuntamento a settembre».

Quello del gas però resta solo un aspetto di una dinamica più complessa. Confimi chiede supporto per gli investimenti sulle rinnovabili, anche solo tramite garanzie sui mutui ventennali. Nel medio termine invece iniziative come la produzione di idrogeno verde. Ma anche su questo l’opinione di quanto messo in atto finora non è positiva. Agnelli commenta: «Noi invece costruiamo parchi fotovoltaici sui terreni demaniali in Italia, togliendo i vincoli alle aree militari».

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