«Visto gli esiti del Terzo Polo suggerirei di chiuderlo e di passare direttamente al Quarto Polo. Chissà che non gli viene meglio». La battuta del senatore Maurizio Gasparri arriva da un partito, Forza Italia, che forse di salute sta anche peggio. Ma coglie comunque nel segno.

Dopo 36 ore di scontro all’arma bianca tra i dirigenti di Azione e Italia viva, ieri sera è arrivata la tregua. Quando questo giornale è andato in stampa, la riunione del gruppo dirigente della federazione tra i due partiti era ancora in corso, ma salvo sorprese imprevedibili, la scissione immediata è stata accantonata.

Troppo complesso dividersi ora, troppe le variabili da gestire (soldi, finanziamenti, rischio di perdere i gruppi parlamentari). In altre parole: più facile restare insieme, anche se poco convinti, che separarsi proprio adesso.

Le regole

Il cessate il fuoco è stato raggiunto sul documento che stabilisce tempi e modi della nascita del partito unico. Primo passo: entro il 15 giugno le assemblee dei due partiti voteranno l’approvazione delle regole del congresso e si apriranno le iscrizioni al partito unico. Secondo passo: entro il 20 ottobre si svolgerà il congresso e gli iscritti elegeranno il nuovo segretario. Terzo passo: entro la fine del 2024 Azione e Italia viva si scioglieranno definitivamente.

Sulla carta sembra una resa all’ultimatum lanciato da Carlo Calenda, ma fonti di Italia viva precisano che si tratta «del documento che avevamo già condiviso. Calenda ha fatto tutto da solo. Ha litigato da solo e ha fatto pace da solo». Ma in realtà, la postilla sull’obbligo di scioglimento entro la fine del prossimo anno è un aggiunta rispetto al documento circolato in precedenza. Calenda ha ottenuto ciò che voleva, almeno sulla carta: la promessa che Italia viva si scioglierà e che non resterà in piedi pronta a pugnalarlo alle spalle. Ma con i tempi per questi passaggi, che vanno dai sei mesi che ci separano dal congresso, fino all’anno e mezzo prima dello scioglimento dei due partiti, il clima avvelenato di questi giorni avrà ogni modo di sbocciare in una scissione di fatto.

L’incidente

Il conflitto era esploso martedì con l’ultimatum di Calenda a Matteo Renzi: o promessa di scioglimento di Italia viva non appena concluso il congresso per il partito unico, oppure divorzio immediato. Ieri pomeriggio, dopo che tutti i suoi colonnelli avevano passato la giornata ad assicurare che il progetto proseguiva, Renzi in persona si è mosso per rassicurare l’alleato. «Se si scioglie Italia viva? Quando si fa il partito unico si scioglie quello vecchio – ha detto a Fanpage – Il progetto è vivo, vivissimo e lotta insieme a noi». Sulle cause di questo scontro improvviso e inaspettato, i dirigenti dei due partiti si scambiano accuse di avere le responsabilità maggiori. Da Azione accusano Renzi e i suoi di voler tirare per le lughe il percorso verso il partito unico e di puntare a un lento logoramento della leadership di Calenda. Per Italia viva, invece, Calenda è confuso, umorale e impulsivo e, in sostanza, non riuscirebbe ad accettare il maggior acume politico di Renzi.

Quello che è certo è che il rapporto tra i due leader, che non era mai decollato, è arrivato in questi giorni al punto più basso. Calenda non si fida più di Renzi, vede con estremo sospetto l’operazione Riformista, quotidiano di cui a Renzi è stata affidata la direzione, non gradisce la sua attività parallela di conferenziere e con la salute traballante di Silvio Berlusconi teme che per l’alleato-rivale possano aprirsi nuovi strade verso destra. Dal canto suo, Renzi ha perso la stima per Calenda, che pure per un certo punto aveva nutrito. Ci sono stati troppi errori alle ultime elezioni, comprese quelle in Friuli-Venezia Giulia, dove Calenda ha insistito per presentare il consueto simbolo con il suo nome e il terzo polo è finito persino sotto la lista dei No-vax. «Non ci hanno visto arrivare, infatti hanno visto arrivare solo Fedriga», ha commentato acidissimo Renzi il giorno dopo.

Problemi di ceto

I segnali che qualcosa non andava nel Terzo Polo erano nell’aria da tempo. Non è tanto un problema di elettori e di programma, come ammettono serenamente gli stessi dirigenti dei due partiti. A parte sensibilità diverse sui diritti civili, entrambi i partiti hanno la stessa visione economica essenzialmente pro-business e, almeno per il momento, cercano voti più a destra che a sinistra (senza trovarli, sempre per il momento).

Il problema è invece di leader e di ceto politico. Non solo i due comandanti in capo non si piacciono, ma anche i loro dirigenti sul territorio hanno più di un problema a lavorare insieme. Così, alle elezioni amministrative del 14 e 15 maggio Azione e Italia viva andranno divise a Siena e Massa e fino all’ultimo minuto hanno rischiato di correre separate anche a Brescia. Al consiglio comunale di Roma i due partiti mantengono gruppi separati e quando in quello regionale della Puglia alcuni transfughi hanno formato quello di Azione, l’unico eletto di Italia viva ha preferito restare nel Misto.

A dividere “renziani” e “calendiani” è soprattutto la provenienza e il background, se non le idee politiche. Il personale di Italia viva è tendenzialmente più navigato e con maggiore esperienza politica sul campo, mentre quello di Azione proviene in gran parte dal mondo dell’impresa e dei professionisti. Ha molto entusiasmo, ma poca o nessuna esperienza politica alle spalle.

Ma che siano conflitti di personalità o tra diversi ceti dirigenti, con le vittorie elettorali si cura quasi qualsiasi male politico. Il problema è che il terzo polo di allori ne ha conquistati pochi e in futuro non sembra destinato a maggior fortuna. Forza Italia si indebolisce, ma i suoi voti vanno al centrodestra. Il Pd regge e anzi ha ricominciato a crescere. E il Terzo Polo? Forse non è ancora morto, ma come diceva Frank Zappa, di certo ha un odore curioso.

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