Il vero dominus di viale Mazzini, a dispetto delle apparenze, è Roberto Sergio. La tendenza del dg Giampaolo Rossi a lasciare al democristiano la scena per aspettare di brillare come amministratore delegato l’anno prossimo, gli ha permesso di dismettere a poco a poco l’apparenza dialogante per trasformare in realtà i suoi piani per il servizio pubblico senza tenere troppo conto delle opinioni di chi lavora con lui.

Com’è successo qualche giorno fa, quando l’ad ha proceduto alla nomina di Rossi nel Consiglio di presidenza di Confindustria Radiotelevisioni. L’incarico ha una valenza piuttosto tecnica, ma Sergio non ha voluto lasciare nulla al caso. Con una lettera che Domani ha potuto visionare, l’ad ha messo il consiglio d’amministrazione di fronte al fatto compiuto. Al posto del consigliere in quota Lega dimissionario dall’organo di Confindustria andrà Rossi. Nessuna discussione.

Mentre infatti nelle settimane precedenti era circolato con insistenza il nome di Francesca Bria, consigliera d’area dem, per rimpiazzare Igor De Biasio, dal cda raccontano come Sergio abbia preso una «decisione netta» noncurante di consigli e accordi pregressi. Tra l’altro, il nome di Rossi, considerate le sue prese di posizione del passato, continua a essere in palese contrasto con il famoso codice etico richiamato dai vertici per giustificare l’estromissione di Insider di Roberto Saviano dai palinsesti autunnali. Ma delle incompatibilità con i principi della Rai di chi gli sta a cuore, Sergio tiene ben poco conto.

Il metodo Sergio

L’amministratore delegato – che continua a conservare ad interim la direzione di Radiorai, di fatto in mano al suo numero due Flavio Mucciante – non tollera dissenso e nel nuovo servizio pubblico dominato dalla destra non si sente più tenuto a dare spiegazioni a nessuno. Tanto da non sentirsi in dovere di prendere posizione sul caso di Marcello Foa, indicato per un programma su Radiouno nonostante in passato abbia sostenuto tesi complottistiche.

La questione dell’incompatibilità è stata sollevata in cda, ma la lettera dei consiglieri Bria e Riccardo Laganà è rimasta senza risposta. Intanto, però, il nuovo direttore di Radiouno, Francesco Pionati, in commissione Vigilanza Rai si è speso a lungo sull’«unica regola del giornalismo onesto», che per il democristiano fulminato sulla via di Salvini «resta il rispetto della verità». Difficile dire se ne abbia parlato con il divulgatore di fake news Foa. Sergio non ha ritenuto necessario neanche motivare la cancellazione del programma di Saviano. Il riferimento al codice etico “retroattivo” resta perciò una deduzione. Che potrebbe però avere pesanti effetti collaterali anche per Sergio stesso.

A pochi giorni dalla sua nomina, il neoamministratore delegato ha emanato una comunicazione interna in cui intimava ai dipendenti del servizio pubblico di astenersi «in contesti pubblici o aperti al pubblico, quali ad esempio social network, blog e/o forum» dal «rilasciare commenti o assumere prese di posizione personali su attività, notizie e/o fatti aziendali, ovvero attinenti colleghi o altri esponenti aziendali».

Peccato solo che – in virtù della retroattività del codice etico richiamato anche in questo documento – il primo a essere sanzionato dovrebbe essere proprio l’ad. A fine aprile aveva usato il suo profilo Facebook per attaccare l’allora direttore di Radiouno Andrea Vianello, dopo che i social della testata avevano pubblicato un post con la fotografia di alcuni manifesti appesi a testa in giù di Giorgia Meloni e altri esponenti di governo e, come didascalia, il racconto secco dei fatti. «Nessun commento o distinguo di fronte a questa violenza.

Anzi, la direzione di Rai1 l'amplifica pubblicando le immagini» aveva scritto Sergio. Che non aveva esitato a dire la sua anche dopo la performance di Rosa Chemical e Fedez a Sanremo, quando Sergio aveva definito la scena «tra le più brutte pagine della televisione italiana». E a inizio gennaio aveva ritenuto opportuno esprimere una valutazione sul giornalismo, anche quello della Rai: «Dal Novembre 2011 ad ottobre 2022, quasi tutte le testate, televisive, radiofoniche e giornalistiche in senso lato, con poche eccezioni, sono state evidentemente filogovernative, pur non essendo i governi legittimati da un voto popolare ma certamente dal voto parlamentare. Dopo tanti anni il governo è legittimato dal voto popolare e dal voto parlamentare e le medesime testate diventano tutte antigovernative.

Cosa altro dobbiamo aggiungere sulla capacità del giornalismo, di oggi, di essere libero ed indipendente». Il rancore contro i giornalisti dell’ad è ben noto in azienda.

Ma adesso, grazie alla direzione Pionati, può contare sul fatto che la testata radiofonica non sarà più la sua spina nel fianco, il contraltare che ha complicato la sua vita a via Asiago. Nel suo feudo avrebbe voluto avere mano libera sui palinsesti di Radiouno, occupati dai programmi dei giornalisti: una circostanza per cui aveva ipotizzato di separare la direzione di testata da quella della rete, per confinare i cronisti nei giornali radio. Ma di questa soluzione, forse, ora non c’è neanche più bisogno.

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