Dall’Emilia-Romagna il presidente Stefano Bonaccini giura che «col governo stiamo lavorando come un sol uomo perché è giusto e doveroso tra istituzioni fare così nell’interesse di chi sta soffrendo». Comprensibile: aspetta la nomina a commissario per l’alluvione dal Consiglio dei ministri, convocato per martedì 23 maggio alle 11, a più di sette giorni dall’inizio del diluvio, oltreché «un decreto legge con i primi stanziamenti e la sospensione o proroga dei termini fiscali, contributivi, giudiziari e di altro tipo».

Nessuna polemica, dunque. Men che meno dai sindaci della Bassa Romagna che ieri, stivali nel fango da quattro giorni, hanno avuto un nuovo allerta meteo. Scarseggiano cibo e acqua. L’emergenza nell’emergenza si chiama «ritorno d’acqua», per questo hanno moltiplicato gli appelli accorati, «l’acqua sta continuando la sua corsa, ma la mole è enorme e la sua rotta non prevedibile».

L’emergenza dunque non è finita, il bilancio del disastro – 14 morti, 15mila sfollati, 58 allagamenti in 43 comuni, 290 frane, 500 strade chiuse – non è definitivo. Ieri Bonaccini ha tenuto un vertice con il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio.

La macchina dei soccorsi è al massimo, a prescindere dal governo. Del resto le visite dei ministri non sono mancate, peraltro nelle calamità hanno l’unico effetto di intralciare i soccorsi. Oggi Matteo Salvini sarà a Bologna: lì il vicepremier tenterà di far dimenticare l’ineffabile tweet della notte del 16 maggio, a straripamenti in piena, che paragonava i romagnoli che lottavano con il fango al suo Milan «senza grinta». Poi cancellato.

Nessuna polemica

Dai territori sott’acqua non arriva dunque nessuna polemica. Eppure non si può non segnalare che nel settembre scorso il presidente delle Marche Francesco Acquaroli è stato nominato commissario all’emergenza due giorni dopo l’alluvione (il 15 settembre, nomina arrivata il 17). All’epoca non c’era un ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, sulla testa del capo della Protezione civile; il ministro doppione nei giorni scorsi ha sfoggiato il maglione della Protezione civile; ieri discettava dei prossimi 20 milioni per gli alluvionati da Sorrento, dove è andato per non deludere gli ospiti dell’European House Ambrosetti.

Ma se stride l’immagine di Musumeci a Sorrento, mentre altrove si scava nel fango, qual è il verbo consono per la foto di Giorgia Meloni incorniciata dal profilo di Itsukushima, l’isola del mar di Seto, nella Baia di Hiroshima, Giappone, con i colleghi del G7? E per quella in cui mostra loro le foto del disastro in Romagna, ricevendone solidarietà, chissà se non anche compatimento.

A Roma gli esponenti della maggioranza si scatenano e tacciano come «fesseria» ogni interrogativo sull’assenza prolungata della premier mentre la Romagna è sott’acqua. Lo ha fatto ieri Maurizio Gasparri sacramentando contro Francesco Magnani, conduttore dell’Aria che tira, su La7: perché la premier dovrebbe «lasciare il suo primo G7? Un Consiglio dei ministri tardivo servirà a meditare meglio il decreto».

Le opposizioni, a partire da Elly Schlein, segretaria Pd già vicepresidente dell’Emilia-Romagna, si piegano alla palese falsità per non complicare le relazioni fra palazzo Chigi e la regione alluvionata.

Ma allora a parlare sono i precedenti. Il terremoto dell’Aquila fu il 6 aprile 2009; Silvio Berlusconi fece un decreto il giorno stesso. Il terremoto in Emilia-Romagna fu il 20 maggio 2012; il governo Monti si riunì e decretò il 22. Dopo quello di Amatrice, il 24 agosto 2016, il governò Renzi si riunì il 25 agosto; alluvione a Ischia, il 26 novembre, il governo Meloni si riunì il giorno dopo, il 27.

Meloni sa che il tempismo ha un valore operativo, oltreché simbolico. Non ha lasciato il G7 in anticipo, troppo importante per lei farsi fotografare al tavolo dei leader del mondo. E farà di meglio. Il 21 il vertice finisce, ma lei non rientrerà nella sua “nazione”: partirà per Astana, Kazakistan, dove il governo cerca investitori per un hub che consentirà al porto di trasferire 215mila container l’anno rispetto agli attuali 40mila.

Meloni rientrerà in Italia solo il 22 maggio. Poi, con comodo, presiederà il Consiglio dei ministri, e firmerà i provvedimenti che la Romagna aspetta, con i piedi nel fango.

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