Il confronto sulla leadership di Matteo Salvini slitta ancora: l’assemblea programmatica che doveva svolgersi l’11 e 12 dicembre è stata rinviata a data da destinarsi. Sarebbe stata la prima riunione nazionale della Lega Salvini premier (LSp),  quella che, dopo le tensioni degli ultimi mesi, doveva stabilire in maniera inequivocabile la linea politica, presente e futura del partito. È stata cancellata a causa delle nuove restrizioni anti Covid decise dal governo. E non è una barzelletta. 

Il rinvio

«Una scelta di rispetto, in particolare per militanti e amministratori locali» ha spiegato una nota dell’ufficio stampa di Salvini. Impossibile, secondo i vertici del partito, preparare un evento con migliaia di persone nel momento in cui l’esecutivo ha varato un’ulteriore stretta sulle misure anti pandemia. Il super green pass che la Lega ha approvato con una certa sofferenza nel Consiglio dei ministri di mercoledì, ha quindi salvato il Capitano dalla prima “conta interna”. E chissà che Salvini, da critico con le restrizioni alla «libertà delle persone», non si sia fatto due conti prima di cedere alle pressioni del premier Mario Draghi.

L’11 e il 12 dicembre erano attese a Roma circa duemila persone, fra i quali sindaci, governatori, parlamentari, eurodeputati e membri del governo. Secondo la definizione che ne aveva dato Salvini, l’assemblea doveva essere l’occasione per «sancire, aggiornare e decidere i binari» sui quali far viaggiare il partito. «Parleremo dell’Italia che andremo a governare nel 2023», aveva detto.

Le tensioni

L’annuncio della convocazione era arrivato dopo l’ultimo consiglio federale, il 4 novembre scorso. La riunione si era tenuta nel momento di massima tensione fra il leader e il suo vice, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro, il vicesegretario federale aveva attaccato Salvini, definendo «incompiuta» la sua svolta europeista e criticando l’alleanza con gli altri partiti sovranisti europei, come i tedeschi di Alternative für Deutschland e il Front national di Marine Le Pen.

Quella raggiunta al consiglio del 4 novembre fra il segretario e il suo vice, era stata definita una sorta di “tregua armata”, in vista proprio del confronto più ampio previsto per dicembre. L’assemblea doveva essere per Salvini il momento in cui dare nuova legittimità alla propria leadership. L’occasione per riaffermare la sua linea con il rischio, però, di essere pubblicamente contestato. Per la prima volta.

Un partito commissariato

Dalla sua nascita, infatti, la Lega per Salvini premier non ha mai avuto un momento di confronto nazionale. Il partito, nato nel 2017, ha convissuto parallelamente all’indebitata Lega nord fino al dicembre del 2019: da quella data è diventata attiva in tutta Italia, mentre prima aveva come iscritti solo militanti ed eletti provenienti da regioni in cui la Lega non esisteva prima della svolta nazionale di Salvini. Da allora la Lega nord è uno scheletro, sostanzialmente svuotato, mantenuto in vita solo perché ha un debito di 49 milioni con lo stato italiano.

Nel programmare l’assemblea della LSp, però, era stata scelta una formula diversa da quella prevista dallo statuto del partito. Da regolamento a eleggere il segretario è infatti il congresso federale, al quale dovrebbero partecipare i segretari regionali e provinciali, insieme a parlamentari, consiglieri regionali, sindaci di capoluoghi, presidenti di provincia e altri rappresentanti regionali.

Un congresso di questo tipo appare ancora lontano. I partecipanti e le regole con cui si dovrebbe svolgere sono ancora in dubbio e, soprattutto, i congressi a livello provinciale e regionale (passaggio necessario per la convocazione del congresso) sono stati rimandati durante i mesi della pandemia. Di conseguenza l’intero apparato del partito rimane al momento in mano a commissari nominati da Salvini. Le elezioni dei nuovi rappresentanti locali, che potrebbero scalzare gli uomini scelti dal segretario, dovevano iniziare a dicembre. Difficile che si svolgeranno.

Il Capitano, indebolito dai contrasti interni, incapace di arginare la crescita di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, costretto a prendersi la responsabilità dei deludenti risultati delle ultime amministrative, rimane quindi saldo al comando del partito. E pensare che nella Lega c’è anche chi dice che il green pass non serve a niente.

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