Figlio di pescatori lampedusani, pescatore a sua volte in giovinezza, Pietro Bartolo conosce molto bene il mare, le sue ricchezze e i drammi che avvolge e inabissa. La solidarietà profonda verso gli esuli dei nostri tempi la sviluppa fin da giovanissimo quando, a bordo del peschereccio del padre, ha sperimentato il terrore del naufragio: «Tornato miracolosamente salvo a casa, la mia famiglia decise che avrei dovuto fare un altro lavoro».

Dopo gli studi di medicina a Catania, è diventato, agli inizi degli anni ’90, responsabile del poliambulatorio di Lampedusa. La sua vicenda ha fatto il giro del mondo grazie al documentario di Gianfranco Rosi Fuocoammare, orso d’oro a Berlino, una candidatura agli Oscar e premi di ogni ordine e grado.

Nel 2019, ha fatto il pieno di voti alle elezioni europee, raccogliendo oltre 270mila preferenze nelle circoscrizioni Italia insulare e Italia centrale. È il medico che ha visitato il numero più alto di persone (350mila) sul molo della sua amata isola e quello ad aver fatto il maggior numero di ispezioni cadaveriche. A contatto con l’umanità dolente, sa che la questione delle migrazioni sembra un fenomeno irrisolvibile solo a causa di politiche nazionali ed europee ingiuste frutto di retoriche improponibili.

LaPresse

In caso di vittoria Giorgia Meloni ha promesso che tra le prime misure di urgenza adotterebbe un blocco navale, lei cosa ne pensa?
«Come sempre sia Meloni che Salvini ogni volta che c’è odore di elezioni cominciano a far credere ai cittadini che il primo problema d’Italia siano qualche decina di migliaia di migranti. Immagino che la leader di FdI non sappia esattamente cosa comporti un blocco navale, un intervento militare gravissimo che mira ad affondare le navi in caso di attacco nemico. Oltre che inapplicabile per accordi sarebbe una spesa che creerebbe, quella sì, problemi agli italiani. Salvini invece invoca una difesa dei confini come se fossimo davanti a un’invasione nemica in numeri sproporzionati. Non ha alcun senso, primo perché non c’è alcuna invasione e secondo perché non c’è alcuna intenzione bellicosa tra chi arriva nelle nostre coste. Eppure su una narrazione totalmente lontana dalla verità, si passa all’incasso di facili voti. Ma la gente non ha colpa, la responsabilità risiede in chi semina odio e paura, come quando si insiste sulle presunte malattie che diffonderebbero i migranti: in 30 anni di attività e 350mila visite, non ho mai riscontrato una malattia infettiva grave. La retorica dei salvatori della patria, con slogan tipo “zero immigrati” distrae gli elettori facendogli credere che zero migranti significhi zero problemi».

Dieci giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue, ha dato attuazione, per la prima volta in 21 anni, alla direttiva sulla “protezione temporanea”. Grazie a quella scelta, sei milioni circa di cittadini ucraini sono potuti entrare legalmente in Ue e hanno usufruito di un permesso temporaneo di un anno con proroga automatica per un altro anno. Ciò ha azzerato le attività dei trafficanti e ha permesso a milioni di persone essere accolte e integrarsi senza particolari sofferenze nel sistema. Perché non si riesce a immaginare qualcosa di simile per profughi di altre provenienze?
«In quella occasione l’Ue all’unanimità ha attivato la direttiva 55 che non era stata mai attivata prima sebbene continuiamo a richiederlo da tento tempo. Ci dicevano “i numeri sono troppo esigui per attivarla”, ma come? Non siete voi che dite che siamo invasi? È assurdo. L’Ue che accoglie sei milioni di persone in sei mesi è l’Europa che vogliamo tutti, quella che sogniamo, che compie il mandato per cui è nata. La Polonia, sempre contraria alle politiche migratorie di accoglienza, è stata straordinaria. È impossibile allora non chiedersi: come ci comportiamo verso poche decine di migliaia di persone che richiedono di entrare a sud del Mediterraneo o a est, proprio al confine tra Bielorussia e Polonia? Sono stato di persona ai confini tra Polonia e Bielorussia e tra Croazia e Bosnia e ho visto persone torturate, lasciate morire all’addiaccio d’inverno dalle polizie europee. Vogliamo parlare di quelle ricacciate nei lager libici? Inutile girarci intorno, questo è razzismo verso chi è appena diverso da noi perché non europeo, non cristiano, non bianco».

Da anni si parla di riforma di Dublino, di nuovi approcci della Ue alle migrazioni, ma al momento, se si eccettuano gli ucraini, l’Unione si segnala per la costruzione di muri ai confini, per maltrattamenti e torture delle polizie di frontiera e, soprattutto, per un sistema di gestione dei flussi che fa la ricchezza dei trafficanti e genera morte. Lei è vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del parlamento europeo, può dirci a che punto è il dibattito a Bruxelles?
«Sono andato a Bruxelles proprio per occuparmi della questione, per cercare di cambiare il sistema di Dublino che, attraverso una risoluzione, è stato giudicato un fallimento. Il Patto europeo su migrazione e asilo del 2020, che avrebbe dovuto rivoluzionare le politiche migratorie segue in realtà la stessa strada addirittura con incombenze maggiori a carico dei paesi di primo ingresso (in maggioranza dei casi, Italia, Cipro, Malta, Spagna e Grecia, ndr) che devono accollarsi il peso dell’accoglienza mentre il sistema dei ricollocamenti è un flop totale. Come relatore ombra sto cercando arrivare a un compromesso e di far diventare il caso “accoglienza ucraina” un precedente da cui partire. Bisogna puntare sul cambiamento del principio del primo ingresso e sul rendere quello del ricollocamento, oltre che efficace, obbligatorio. È un fenomeno che necessità di una risposta comune esattamente come è avvento per l’Ucraina, per la pandemia, per i vaccini o il Recovery fund».

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