La risposta di Giorgia Meloni sull’allarme sanità arriva a stretto giro, davanti ai presidenti di Regione riuniti a Torino: «Un sistema sanitario efficace è l’obiettivo di tutti, ma sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull’aumento delle risorse».

Come dire: il taglio dei fondi alla sanità non è un problema. «Non basta spendere di più per risolvere i problemi se poi le risorse vengono usate in modo inefficiente». Da palazzo Chigi si sforzano di spiegare che la premier non risponde al Colle.

Ma è fatica sprecata: le parole che il capo dello stato ha pronunciato davanti a quella stessa platea, il giorno prima, erano altrettanto chiare: la sanità «è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare». Il presidente raccoglie le preoccupazioni del paese, dalle Regioni agli operatori, all’opposizione parlamentare. Palazzo Chigi risponde picche.

Meloni parla di efficientamento della spesa, un grande classico, buono per ogni stagione. Ma nell’immediato, l’imminente definanziamento è ineludibile. Lo spiega un’analisi della Nadef della Fondazione Gimbe: la sanità pubblica «va verso il baratro» per il crollo del rapporto tra spesa sanitaria e Pil, che per il 2024 scenderà dal 6,7 per cento al 6,6, nel 2025 al 6,2 e l’anno dopo al 6,1.

«È del tutto evidente che l’irrisorio aumento della spesa sanitaria di 4.238 milioni di euro (+1,1 per cento) nel triennio 2024-2026 non basterà a coprire nemmeno l’aumento dei prezzi, sia per l’erosione dovuta all’inflazione», spiega il presidente Nino Cartabellotta.

Il freddo fra Schlein e Conte

Dal varo della Nadef il Pd si è scatenato in un fuoco di fila dichiaratorio, anche per spezzare il racconto del paese presuntamente assaltato dagli sbarchi dei migranti con cui la destra evita di parlare della manovra in gestazione. Lunedì Schlein ha accusato Meloni di «smontare» il servizio pubblico. Martedì ha rincarato: Meloni «continua a prendere in giro le persone, comprese quelle che l’hanno eletta. Dire che la sanità è una priorità ma che l’impegno non si misura sui soldi messi a disposizione è la beffa dopo il danno».

Le opposizioni menano contro i tagli. Ma a loro volta tengono sottotono un problema: c’è del freddo fra Schlein e Giuseppe Conte. E il presidente M5s è più interessato a portare a casa risultati per sé, come si è visto anche martedì sul voto in commissione Vigilanza Rai, dove i consiglieri grillini hanno dato una mano alla maggioranza. Così anche sul tavolo della sanità si procede al rallentatore: per ora non è neanche partito. Lo schema “salario minimo”, che ha unito tutte le minoranze tranne Renzi, stavolta non funziona.

Eppure sarebbe indispensabile, spiega l’ex ministro della Sanità Roberto Speranza: «L’alternativa si costruisce a partire dalle questioni reali che riguardano la vita delle persone. È proprio su questo fronte che il governo non è in grado di dare risposte. La difesa del diritto alla salute e il rilancio del nostro Servizio Sanitario Nazionale, devono essere il primo punto di un’agenda politica alternativa». Tutti d’accordo, da Pd a M5s a Calenda ai rossoverdi, chi per costruire l’alternativa, chi anche solo (si fa per dire) salvare la sanità dal collasso. Ma la marcia non ingrana.

E se non ingrana dipende dal M5s. C’è chi spiega che il movimento è in imbarazzo per via del Superbonus. Che c’entra? C’entra, viene spiegato, perché «il superbonus ci è costato 150 miliardi, molto di più di quanto il paese investe nel servizio sanitario. È il loro tallone d’Achille quindi sono in difficoltà, nello scontro con la maggioranza è chiaro che questo tema li rende meno credibili».

La responsabile sanità Pd Marina Sereni minimizza gli inciampi. Il 12 settembre ha fatto un primo giro di incontri «separati» con i partiti: per Azione con l’ex assessore del Lazio Alessio D’Amato e l’igienista Walter Ricciardi, per M5s con la senatrice Mariolina Castellone, con Luana Zanella per i rossoverdi.

Tutto benissimo, grandi potenziali convergenze. Ma poi più nessuna telefonata, e nessun appuntamento. «Alcune forze politiche hanno chiesto tempo per approfondire e far maturare le proprie proposte», spiega Sereni, «con pazienza riusciremo a mettere insieme una piattaforma unitaria delle opposizioni».

Azione alla carica

D’Amato è meno zen: «C’è bisogno di stringere, dalla Nadef è uscito un quadro peggiore di quello che ci aspettavamo. La riduzione dell’incidenza della spesa sul Pil, aggravata dall’inflazione, ci avvicina a paesi come la Romania, l’Ungheria anziché la Francia e Germania. L’Organizzazione mondiale della sanità considera il 6 per cento del Pil una soglia d’allerta nei paesi industrializzati: chiediamo sia portata al 7».

Azione ha già inviato a tutti le sue proposte: «La spesa privata per la sanità è arrivata a 40 miliardi l’anno, una somma enorme, vuol dire che un terzo dell’investimento del paese esce dalle tasche dei cittadini. Per la stragrande maggioranza dei casi perché il servizio pubblico non eroga visite in tempi decenti. Abbiamo proposto che due miliardi per l’abbattimento delle liste d’attesa: se i centri pubblici di prenotazione non sono in grado di garantire le prestazioni nei tempi previsti, il cittadino può richiederle intra moenia pagando solo il ticket».

Poi c’è il tema del personale, continua l’ex assessore: «Il nostro è tra i meno pagati d’Europa. Un infermiere a 1400 euro al mese deve fare i turni, le notti, il Natale e il Capodanno, in Germania o in Francia prende 4mila euro. Quindi se ne va: mancano 63mila infermieri e 20mila medici».

Il tema è incandescente, i grillini non hanno fretta. La rossoverde Zanella aspetta fiduciosamente la nuova convocazione: «Il mio augurio, e impegno, è che si lavori insieme e che si inizi da ciò che condividiamo, che non è poco». Dal Nazareno partono rassicurazioni: «Si lavora silenziosamente».

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