Contrordine leghisti, il problema degli sbarchi dei migranti in fuga dalla Libia è rimandato a settembre e non deve essere risolto «entro agosto», come Matteo Salvini aveva detto domenica alla festa di Cervia attaccando la ministra Luciana Lamorgese, «che non ci azzecca nel governo» e che avrebbe fatto «peggio» di Angelino Alfano, il ministro degli Interni con il governo Renzi.

Il leader della Lega non prepara la riedizione del Papeete – era l’estate 2019 quando provocò una crisi del governo gialloverde che fece nascere l’esecutivo Conte II, tre quarti del gruppo dirigente leghista non ha ancora digerito l’autogol  – anzi ammette che se ne riparla in autunno. Anche Giuseppe Conte, dopo aver minacciato l’astensione del M5S sulla riforma della giustizia penale (alla fine è arrivato l’accordo), promette nuove battaglie ma nella sostanza conferma comunque l’appoggio a Mario Draghi. Del resto fra pochi giorni entrambe le camere chiuderanno i battenti per ferie. E così il semestre bianco inizierà con un mese azzurro: nel senso che i parlamentari se ne andranno al mare.

Camere in vacanza

Dal 3 agosto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella entrerà ufficialmente nell’ultima fase del suo (primo) settennato, quella durante la quale in forza dell’articolo 88 della Costituzione il capo dello stato non ha più il suo potere più forte, quello dello scioglimento delle camere, e quindi tradizionalmente quello in cui le forze politiche possono alzare bandierine e rivendicare distinguo senza rischiare di essere inviati al voto (eventualità che le forze politiche considerano come la sciagura più nera, infatti si guardano bene dall’affrontare il tema della legge elettorale che con cui dovrà essere eletto il prossimo parlamento a ranghi ridotti, dopo il taglio  del 36,5 per cento dei parlamentari che scenderanno da 630 a 400 alla camera e da 315 a 200 al senato, al netto dei senatori a vita). 

Nella vicenda dell’approvazione in prima lettura della riforma della giustizia il presidente del consiglio Mario Draghi ha fornito un assaggio di come intende procedere, in caso di “ribellione” delle forze politiche della sua maggioranza: ascoltando le proposte, ma avanzando a colpi di voti di fiducia. Ma per il prossimo mese, fino ai primi di settembre, le camere sono in vacanza e tutte le zuffe delle forze politiche saranno solo virtuali.

Le principali riforme da approvare, come condizione per ricevere i fondi europei, mancano ancora all’appello: la riforma giustizia penale (serve almeno la seconda lettura), quella civile, ancora ferma al senato, quella fiscale. Difficile immaginare che Draghi, considerato il candidato naturale al Colle post Mattarella prima che fosse nominato a Palazzo Chigi, a fine anno possa lasciare la plancia di comando dell’esecutivo. L’ipotesi in un primo momento era la favorita di Salvini. E invece il segretario del Pd Enrico Letta parla ormai esplicitamente di un Draghi premier «fino al 2023», e cioè alla scadenza della legislatura.

Senza un “candidato naturale”

In questo secondo caso quale sarebbe il nuovo inquilino del Colle? Fra le candidatissime della legislatura c’è la ministra della giustizia Marta Cartabia, che però non sembra aver aumentato le sue possibilità di essere eletta dopo l’accordo sulla riforma dei tempi del processo penale. «In questo momento non c’è un candidato naturale», ammette Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato dem, «un nome che riesce a prendere più di 500 voti pacificamente, neanche al quarto scrutino, quando il quorum scende alla metà più uno dei grandi elettori. Di conseguenza, come accadde per Napolitano, che anche aveva più anni di Mattarella, ma si dovette rassegnare alla necessità di un nuovo mandato: allora (era il 2013, ndr) non potevamo presentarci in Europa come un paese bloccato per trenta giorni sul presidente del Consiglio».

Oggi a occhio la circostanza è simile. Il presidente della Repubblica è sembrato scartare la possibilità anche in maniera pubblica e plateale già a metà maggio 2021, mentre conversava con i bambini della scuola Fiume Giallo di Roma:  «Tra otto mesi il mio incarico termina, come sapete l’incarico di presidente della Repubblica dura sette anni, io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi».

Durante la cerimonia del Ventaglio, con i cronisti parlamentari, non ha fatto alcun cenno, neanche vago ed eventuale, alla questione della sua successione.

Negli ultimi tempi nel “partito del palazzo” però si fa strada proprio la possibilità più ovvia e scartata all’inizio della storia dell’ultimo governo, come la soluzione di un giallo di Agatha Christie: eleggere davvero Draghi. A fine anno, è l’autorevole ragionamento che riferiamo, il presidente del Consiglio avrà portato a termine la parte essenziale delle riforme. E anche la finanziaria. Incardinata così la nuova Italia del post pandemia, l’ex presidente della Bce potrebbe a febbraio trasferirsi al Quirinale. E vigilare da lì sull’applicazione delle riforme. E garantire per l’Italia di fronte ai partner europei. 

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