A circa 24 ore dall’arresto dei sette ex terroristi italiani rifugiati in Francia, si costituiscono due degli altri tre che si sono dati alla fuga.

Il primo fra tutti è Luigi Bergamin, tra gli ideologi dei Pac (Proletari armati per il Comunismo), il gruppo armato a cui apparteneva anche Cesare Battisti, si è presentato davanti al palazzo di Giustizia di Parigi con il suo avvocato per costituirsi. Bergamin è stato condannato a sedici anni di carcere per diversi reati, tra i quali, l’omicidio di Lino Sabbadin e per aver ideato l’assassinio del maresciallo Antonio Santoro. Oltre a Bergamin ha deciso di costituirsi anche Raffaele Ventura, mentre Maurizio Di Marzio, resta ancora latitante.

Nel frattempo, il tribunale di Parigi dovrà esprimersi se incarcerare o meno i sette italiani arrestati ieri  (Giorgio Pietrostefani, Marina Petrella, Roberta Cappelli, Enzo Calvitti, Sergio Tornaghi, Giovanni Alimonti, Narciso Manenti) in attesa dell’eventuale estradizione finale a cui spetta però l’assenso politico finale. Infatti, alcuni degli arrestati hanno problemi di salute che pongono dubbi su una loro eventuale detenzione. Per Enzo Calvitti e Sergio Tornaghi i giudici hanno deciso di rimandarli a casa con l’obbligo di firma presso il commissariato dei rispettivi quartieri. «È stato riconosciuto il fatto che non c’è rischio di fuga e sono stabiliti in Francia da tanti anni» ha detto Jean-Louis Chalanset, l’avvocato di Enzo Calvitti. È probabile che la stessa decisione sarà presa anche per gli altri arrestati nel blitz di ieri. 

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha definito l’operazione come un’ottima cooperazione tra Italia e Francia e ha tenuto a precisare: «Nessun ordinamento giuridico può permettersi che una pagina così lacerante della storia nazionale resti nell’ambiguità, e resti irrisolta. La storia offre numerosi esempi di giudizi celebrati e di vicende giudiziarie portati a compimento a molti anni di distanza. La nostra volontà di riproporre la richiesta delle estradizioni non risponde nel modo più assoluto ad una sete di vendetta, che mi è estranea, ma ad un imperioso bisogno di chiarezza, fondamento di ogni reale possibilità di rieducazione, riconciliazione e riparazione, fini ultimi e imprescindibili della pena».

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