È un weekend di passione, nel senso pasquale, quello che si conclude stanotte per il Pd. Entro domani, al massimo martedì, sotto gli occhi di Enrico Letta si materializzerà il patchwork dell’alleanza elettorale di centrosinistra.

Oggi in assemblea Sinistra italiana discuterà le proprie scelte, dopo aver presentato il simbolo della lista rossoverde. La decisione finale, insieme con Europa verde, viene promessa «entro pochi giorni». Dall’altro lato del (possibile, ormai probabile) schieramento, Carlo Calenda fa sapere che i vertici di Azione e +Europa, insieme ai nuovi e combattivi innesti ex forzisti, entro domani decideranno se correranno da soli, ovvero con un’alleanza di centro, oppure si arrenderanno all’evidenza dei numeri e si rassegneranno al matrimonio di interessi.

Dalla parte sinistra la decisione non è semplice, soprattutto da prendere “al buio”, prima di sapere cosa farà Azione, che promette fuoco e fiamme contro i “non draghiani”. Cosa che però ai rossoverdi potrebbe fare gioco, in campagna elettorale, proprio per differenziare il profilo della lista da quello dei sostenitori della maggioranza di unità nazionale.

Ma anche dal lato di Azione la scelta è tormentata. Negli scorsi giorni Calenda ha sparso, riservatamente ma non troppo, indizi che lasciavano trasparire una propensione verso il no al Pd. Invece nelle ultime ore sta maturando la decisione opposta. Matteo Richetti, ex renziano fra i primi a trasmigrare in Azione, ha spiegato al Corriere che a loro «conviene andare da soli, ma solo con un tandem Calenda-Letta puoi sperare di vincere contro Meloni-Salvini».

Venerdì, in un incontro con i cronisti alla sala stampa estera, l’ex ministro dello Sviluppo economico, aveva ammesso con un sospiro: «Sappiamo bene cosa ci conviene», intendendo il modello di corsa adottato per il Campidoglio, uno splendido isolamento in grado di attirare anche i voti di destra moderata. In questo caso sarebbe ancora più necessario: è la posizione degli ex forzisti che hanno appena aderito ad Azione, dalle ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna al senatore Andrea Cangini.

Una coalizione che «tiene dentro partiti che non hanno votato la fiducia a Draghi ed ex Cinque stelle non ci convince per nulla», dice ancora Calenda. Ma incrociare i numeri dei sondaggi con le alchimie della legge elettorale è un terno al lotto, anche a detta dei tecnici. E gli ambasciatori del Pd, quelli che trattano al tavolo dei collegi – Marco Meloni, coordinatore della segreteria di Letta e suo braccio destro, con Francesco Boccia, responsabile delle autonomie territoriali e degli enti locali – devono contenere le richieste di Calenda nei collegi simbolo, come il primo di Roma. In queste ore matura anche il salvataggio di Renzi, proprio nelle liste di Azione..

Non c’è invece mai stato dubbio sulla scelta di Luigi Di Maio. Ieri il ministro degli Esteri, a nome di Insieme per il futuro, ha firmato l’accordo con il Centro democratico di Bruno Tabacci, detentore di un prezioso simbolo utile a non raccogliere le firme sotto il sole di agosto. Domani la casa degli ex M5s sarà presentata alla stampa. Ma dal lato dei fuoriusciti c’è qualcosa ancora da mettere a posto: non è in queste liste che vogliono finire gli altri ex Cinque stelle, come il ministro Federico D’Incà e l’ex capogruppo Davide Crippa.

Sarebbe il Pd a dover trovare spazio nelle sue liste; come ha già annunciato di fare per cinque esponenti di Art.1, uno o due di Demos e uno Psi. Dal Nazareno arriva comunque una frenata sui numeri e sui nomi che ormai fioccano: «Non c’è ancora nulla di certo». Martedì ci sarà la riunione con i segretari regionali Pd «per avere una mappatura delle proposte dei territori. Poi nei giorni successivi, anche sulla base delle intese con gli alleati per gli uninominali, il quadro si completerà».

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