«Se si fa la sinistra noi ci siamo» è il grido di battaglia con cui Art. 1 aderisce alle “agorà democratiche” del Pd. L’annuncio è del ministro della Salute Roberto Speranza in una conferenza stampa online dove si presenta da segretario di partito.

È accompagnato da Arturo Scotto, coordinatore dell’organizzazione, che indica l’orizzonte vicino di un «nuovo centrosinistra» per il quale «noi abbiamo sempre arato il campo, non coltivato l’orticello». Speranza “rivela” di aver «perfezionato da poche ore l’iscrizione sul sito» delle agorà e assicura che parteciperà «convintamente a questo momento di apertura e di discussione nell’auspicio che possa costituire un momento importante per costruire e rafforzare il centrosinistra e dare vita a un nuovo Pd, utilizzando le parole di Enrico Letta».

Ma l’adesione è individuale e la scelta di Art.1 è «un’adesione individuale per tutti». In concreto ciascun iscritto procederà per sé. Dunque in teoria anche il componente della direzione Pier Luigi Bersani e il militante di base Massimo D’Alema.

Inutile girarci intorno, l’annuncio è un segnale tutto politico, anche se fatto con infinita cautela per non urtare le sensibilità interne al Pd (riformisti ed ex renziani) che temono il ritorno a casa della “ditta”. Infatti i messaggi di congratulazioni sono molto composti. Speranza è l’unico segretario di partito che partecipa al percorso di allargamento della forza più grande del centrosinistra. Che però è quella da cui i dirigenti di Art.1 sono usciti sbattendo la porta il 25 febbraio 2017. Al Nazareno c’era Matteo Renzi.

La scissione avvenne dopo la Leopolda del «fuori, fuori» e dopo il referendum costituzionale combattuto per il No (e vinto) contro il Pd. Far nascere e crescere una nuova cosa di sinistra sembrava a portata di mano. E invece alle elezioni del 2018 Leu, l’alleanza elettorale con Sinistra italiana e Possibile, si arena al 3 per cento. E alla guida del Pd arriva Nicola Zingaretti, segretario “amico”. Poi arriva la resurrezione nel governo giallorosso con Pd e M5s, e Giuseppe Conte, designato leader del centrosinistra. Un’ala di Art.1 se ne innamora e vagheggia l’idea di confluire nella sua nuova formazione. Che però non nasce.

Il nuovo Pd

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Ora Speranza e compagni tornano a guardare al Pd. Propongono un big bang, credono «che ci sia oggi più che mai la necessità di discutere e confrontarsi dentro e fuori dai partiti», puntualizzano che porteranno «il nostro punto di vista, la nostra autonomia e le nostre idee». Lavoro, salario minimo, green jobs e finanziamento della politica («I partiti non devono essere scalabili, ma contendibili sulle idee. Ogni riferimento a persone e cose di questi giorni è voluto.

Il finanziamento pubblico rende i partiti autonomi dalle lobby e dagli agenti esterni. Perché la democrazia costa e non la possono fare solo i ricchi», dice Scotto, il riferimento è al caso Open).

I bulloni con il Pd vengono dunque avvitati. Per una vera confluenza bisogna aspettare le politiche. Intanto perché Speranza è un ministro in quota Leu e non è il caso di toccare gli equilibri interni al governo. Poi perché l’allargamento a sinistra del Pd sembrerebbe un ritorno al passato, al prima di Renzi, peraltro da parte di un segretario che denuncia ogni due per tre il trasformismo.

Torna la Ditta

Infine ci sono i padri fondatori di Art.1, Bersani e D’Alema. Entrambi, in maniere diverse, hanno lasciato la prima fila della politica. Nell’eventualità, però, il ritorno “a casa” di Bersani sarebbe vissuto come un fatto nell’ordine naturale delle cose, visto il rapporto di lealtà e affetto che lega i due. Quello di D’Alema invece sarebbe vissuto come politicamente ingombrante. Il tema potrebbe non porsi se si facesse come dice Arturo Scotto, cioè si varasse una legge proporzionale. Ma al Nazareno ormai nessuno crede che la legge elettorale sarà cambiata.

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