Silvio Berlusconi è stato per anni additato per i suoi conflitti di interesse. Accusato di aver trasformato la nobile arte della politica in una televendita a rete unificate, 365 giorni all’anno. In fondo chi meglio di lui, inventore della televisione commerciale, poteva creare un partito e nel giro di pochi mesi “venderlo” agli italiani?

Fin dall’inizio è stato chiaro che per l’ex premier la campagna elettorale non era cosa diversa da una qualsiasi campagna pubblicitaria. Una buona parte della classe dirigente di Forza Italia, Marcello Dell’Utri in testa, proveniva da Publitalia, la concessionaria di pubblicità di Mediaset. E poi c’erano i manifesti sei metri per tre, gli slogan facili da memorizzare e le promesse, tante promesse.

Nel tempo il modello si è affinato ma mai ha tradito lo spirito delle origini. Basterebbe citare il “contratto con gli italiani” siglato nel salotto televisivo di Bruno Vespa nel maggio del 2001 quando, dopo la «lunga traversata nel deserto» degli anni del centrosinistra, il leader di Forza Italia voleva tornare alla guida del paese.

La corsa al Colle

Oggi Berlusconi è un signore di 85 anni che spera di poter vivere un ultimo momento di gloria – e di riabilitazione dopo la condanna e l’espulsione dal parlamento – cercando di diventare il prossimo presidente della Repubblica. Qualcuno dice che potrebbe addirittura accettare un mandato a termine pur di respirare l’aria del Quirinale e poter aggiungere un nuovo capitolo al suo curriculum di «presidente operaio».

E allora cosa fa? Coerente con sé stesso, fa campagna elettorale. Poco importa che non sia opportuno. Che l’elezione del capo dello stato sia argomento più da segrete stanze che da pubblico dibattito. Che i veri candidati sono proprio quelli che si nascondono.

Se Mario Draghi si sottrae al dibattito definendo addirittura «offensiva» l’ipotesi di chi vedrebbe bene una sua ascesa al Colle, Berlusconi ci crede e agisce di conseguenza. E se a gennaio definiva il reddito di cittadinanza una «paghetta offensiva» per i giovani, a novembre eccolo riabilitare la misura come uno strumento efficace per «contrastare la povertà».

Ovvio che si tratti di un modo per provare a conquistare il voto dei grandi elettori del M5s, ideatori del reddito di cittadinanza, che potrebbe essere decisivo per l’elezione del capo dello stato. Quale sarebbe la novità?

A memoria, dal 1994 a oggi, Berlusconi ha promesso di eliminare: le tasse in generale, la tassa di successione, la tassa sulle donazioni, l’Ici, l’Imu, il bollo auto. Ha promesso di alzare le pensioni minime e di introdurre un «reddito di dignità» per coloro che si trovano sotto una certa soglia.

Nel 2013, tra le polemiche degli avversari, aveva inviato una lettera a tutti gli italiani in cui testualmente scriveva: «Come avrà appreso da giornali e tv siamo determinati a cancellare subito l’Imu nel primo Consiglio dei ministri dopo la vittoria restituendo immediatamente l’Imu pagata nel 2012». Tradotto: votateci se volete riavere i vostri soldi.

Il tempo, e le attuali percentuali elettorali di Fi sono lì a dimostrarlo, ha di certo fatto capire agli italiani quanto quelle promesse fossero solo propaganda. Neanche troppo raffinata. In fondo già l’armatore Achille Lauro, sindaco di Napoli tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche deputato e senatore, regalava a chi lo votava un paio di scarpe: la scarpa sinistra prima delle elezioni e la destra dopo, una volta incassata la preferenza. Donare o restituire qualche euro rende infinitamente più simpatici che provare a toglierlo. Che ciò avvenga con il reddito di cittadinanza o con il taglio di una tassa poco importa.

Così, se ieri studiava la strategia migliore per conquistare il consenso degli italiani – che come direbbe qualcuno di solito “votano con il portafoglio” – oggi Berlusconi prova a corteggiare i parlamentari. Che sono pur sempre italiani. Magari con un portafoglio più bello.

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