Mettere in difficoltà la maggioranza è un obiettivo meno lontano di quanto non sembri, per l’opposizione. Soprattutto quando si parla di tattica parlamentare. Per esempio l’emendamento della Lega al decreto Elezioni, che contiene l’apertura al terzo mandato per presidenti di regione e sindaci, potrebbe essere un caso da sfruttare.

Ma le opinioni su come utilizzarlo divergono. C’è chi sostiene che stare con Giorgia Meloni, che ha dalla sua Forza Italia e Noi moderati, può contribuire ad aumentare ulteriormente la pressione sui leghisti, già in affanno per i continui atti di prevaricazione di FdI. Altri considerano invece il sostegno al testo leghista la strada maestra per dare una spallata alla maggioranza. O, nel caso non si voglia sostenere esplicitamente Matteo Salvini, si potrebbe anche valutare una proposta di un testo gemello da far votare alla Lega.

La verità è che l’emendamento del Carroccio – che a meno di cambiamenti di calendario dell’ultimo minuto sarà votato oggi – non ha speranza di passare, e i leghisti lo sanno. Lo ha detto ieri Paolo Tosato, senatore cofirmatario del testo, a Un giorno da pecora: «Non ho grandi aspettative sul fatto che venga votato, anche se Pd, Azione e Iv stessero con noi non ci sarebbero i numeri perché anche i Cinque stelle sono contrari».

Se il Pd infatti è spaccato, con una parte consistente del partito a cui piacerebbe l’idea di permettere un altro giro alla guida della regione a Vincenzo De Luca, Michele Emiliano e Stefano Bonaccini, sembra totalmente da escludere che il M5s possa aprire a un terzo mandato. Soprattutto perché non lo consente nemmeno ai propri eletti.

La linea dei dem rimane quella di lasciare la maggioranza sola a sbrogliare la matassa dell’emendamento e dipingere lo scontro come una questione tra Lega e FdI. Sulla stessa lunghezza d’onda il Movimento, che ci mette un carico del benaltrismo. «Qual è la questione di cui la politica italiana sta discutendo di più? Lavoro? Ambiente? Pace? Cessate il fuoco a Gaza e in Ucraina? Nulla di tutto questo. È il terzo mandato, questione che riguarda i presidenti di regione, i sindaci e la possibilità quindi di perpetuare questi incarichi anche per un terzo mandato. Noi siamo ovviamente contrari al terzo mandato» ha detto Giuseppe Conte in una diretta social.

Scartare su un tema del genere è comunque sconveniente in termini di calcolo politico, oltre che difficile da raccontare, per il Movimento. Impedire ad amministratori storici di ricandidarsi permette di liberare nuove poltrone negli anni a venire, posti che dopo un eventuale successo di Alessandra Todde in Sardegna – esito che in queste ore appare a portata di mano – sembrerebbero un po’ più contendibili.

La comunicazione

Ma c’è anche una questione di narrazione: dal partito segnalano come solo la scorsa settimana Beppe Grillo abbia spento sul nascere le rivendicazioni che alla vigilia di ogni tornata elettorale gli eletti al secondo mandato sollevano a proposito del tetto delle ricandidature.

«Smentirlo con un voto a favore del terzo mandato per le cariche monocratiche è fuori questione» dicono. Certo, sarebbe l’occasione per mettere alle strette il «governo di fascisti», come l’ha definito la candidata giallorossa Todde in Sardegna. «Da qui può partire la resistenza». Anche Conte in persona aveva cavalcato la potenziale riscossa sarda. «A me interessa mandare a casa Meloni e la Sardegna può essere un primo passo. Qui con il Pd abbiamo messo in campo una proposta forte. Dobbiamo farlo anche a livello nazionale» ha detto a Repubblica. E invece, in parlamento, per il momento non c’è niente da fare.

Anzi, il vincolo dei due mandati traslato a livello legislativo diventa un vanto per i dirigenti di via di Campo Marzio. «Al Pd hanno problemi a tenere la linea, noi no» si gongola. Alla fine, il Pd verosimilmente lascerà la commissione durante il voto, per non rimanere inchiodato su una posizione o sull’altra. E, contestualmente, affossando definitivamente la possibilità di mandare sotto Fratelli d’Italia.

«Ci stiamo raccordando con tutte le opposizioni. La maggioranza deve essere messa a nudo, nessuno di noi dovrà fare da stampella. È giusto che il confronto avvenga solo tra loro» ha detto nel pomeriggio il capogruppo dem Francesco Boccia. Ma dal M5s non è arrivata nessuna sponda per lasciare l’aula tutti insieme. Voteranno contro l’emendamento insieme a Giorgia Meloni: «Dobbiamo presidiare un tema così caro ai nostri elettori» dicono.

Anche Iv, che sperava a sua volta in una strategia condivisa da attuare in presenza, rimarrà delusa. È tempo di europee, dopotutto, e non è il periodo giusto per far crescere le alleanze. Il sistema proporzionale scoraggia le coalizioni: i parlamentari non si vogliono esporre, arriva qualche timida segnalazione a proposito della continuazione del lavoro sul salario minimo, affossato dal governo, e sul congedo parentale. Difficile che, su quello, ci sia modo di mandare sotto il governo.

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