Ha ragione l’ex candidato del centrosinistra alla Regione Lazio Alessio D’Amato quando dice che grazie al suo ex rivale, Francesco Rocca, «quest’anno il Roma Pride sarà il più partecipato di sempre». Il ritiro del patrocinio alla parata arcobaleno è l’unica scelta per cui, dopo la vittoria, il nome del presidente è riemerso sui giornali. La polemica che ha imbastito è un lancio straordinario e inatteso per la sfilata del prossimo sabato nella Capitale; una cortesia per cui gli organizzatori bene farebbero a mandargli un mazzo di rose.

Il motivo del ripensamento è, sostiene Rocca, la propaganda pro “gravidanza per altri” contenuta nel manifesto del Pride romano. O, più precisamente, il «supporto» alla Gpa, secondo l’associazione Pro Vita&Famiglia che ha “avvisato” il presidente costringendolo alla retromarcia. Nel passo indietro, il povero Rocca è di nuovo inciampato: per evitare l’inevitabile accusa di ostilità verso il mondo rainbow, si è detto disponibile a ripensarci (per la seconda volta) a patto di ricevere scuse per la presunta «manipolazione» di cui sarebbe stato vittima da parte degli organizzatori. Un carpiato pasticciato che ha solo rilanciato la polemica.

Nel resto d’Italia

In ogni città i coordinamenti degli attivisti dei diritti hanno deciso autonomamente se chiedere o meno il patrocinio delle istituzioni. Ogni Pride, dei cinquantatré che si svolgono in questo mese, ha il suo manifesto. Quello del Roma Pride non contiene propaganda pro Gpa («e mica istighiamo a un reato», sbuffa Gabriele Piazzoni, leader dell’Arcigay) ma una richiesta politica: una legge «per una gpa etica e solidale, che si basi sul pieno rispetto di tutte le persone coinvolte, sulla scorta delle più avanzate esperienze internazionali».

Ma è solo una delle tante rivendicazioni messe in fila in un testo che parla la lingua dei diritti, e che difficilmente le istituzioni delle capitali dei grandi paesi europei si sognerebbero di sindacare nel merito: il patrocinio non è l’adesione a una piattaforma politica ma l’assunzione di un impegno per la lotta alle discriminazioni. Se così non fosse, dovremmo pensare che la Lombardia, mentre nega il patrocinio al Pride di Milano, assume le ragioni di Bran.co, «organizzazione apertamente neofascista», secondo la denuncia del consigliere regionale Luca Paladini.

Quanto alle rivendicazioni dei Pride, tra esse c’è la trascrizione dei certificati dei bambini nati all’estero: una battaglia di molti sindaci progressisti italiani che sono quasi tutti contrari alla Gpa.

La verità è che Rocca, il debole Rocca, tirato per le orecchie dagli ultrà pro life, ha avuto paura di essere sgridato dalla sua dante causa Giorgia Meloni. La quale ha imposto un precipitoso passaggio alla camera della legge che trasforma la Gpa – già reato in Italia – in reato universale. Verrà discussa in aula il prossimo 19 giugno, dopo che la maggioranza di destra ha rapidamente bocciato tutti gli emendamenti delle opposizioni che chiedevano diritti negati alle coppie omogenitoriali (molti dei quali contenuti nei manifesti dei Pride).

Secondo molti giuristi ascoltati dal parlamento, il reato universale di Gpa è un obbrobrio giuridico.

Ma è una bandierina indispensabile per ricompattare la destra che in parlamento è forte nei numeri ma litiga su molti temi dell’agenda di governo: dalla Rai al Mes al Pnrr. Per questo anche le aree “liberali” della maggioranza che si erano espresse contro la retromarcia di Rocca, vedasi la giovanile di Forza Italia, sono state ricondotte nel recinto di famiglia, con qualche imbarazzo. E qualche raro amministratore di destra intenzionato a schierarsi dalla parte dei diritti, ora evita di far sentire la propria voce.

A sinistra il problema non si pone così. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri sarà ospite della «Pride Croisette», lo spazio dei dibattiti del mese del Pride, insieme al segretario della Cgil Maurizio Landini. La segretaria Pd Schlein ha assicurato sfilerà, evitando di entrare nel merito della polemica laziale. La Gpa è un tema scivoloso nel Pd: la leader è favorevole, ma ha assicurato che è una posizione personale. La maggior parte del gruppo dirigente è contrario, e anzi alcune personalità di peso hanno firmato un appello che chiede alla Ue di bandire la pratica.

Ma questa sarà un’altra storia. Intanto la destra italiana si finge europeista ma rifiuta i diritti per tutti e tutte che l’Europa riconosce. E si proclama atlantista: ma quando passeggia a Via Veneto, dov’è la sede dell’ambasciata americana, deve abbassare gli occhi, per non vedere che sulla facciata campeggia una monumentale bandiera arcobaleno. Persino nella sua nuova versione ancora più inclusiva, la Pride Progress Flag.

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