Sicilia travolta dalla pandemia: ambulanze che non arrivano, contagi e morti. E l’assessorato alla sanità pensava a come falsificare i dati. Per questo, l’assessore Ruggero Razza adesso è indagato per falso in atto pubblico: «E spalmiamoli un poco» diceva il 4 novembre sui dati delle vittime di Covid-19. Questa mattina ha deciso di rassegnare le sue dimissioni «per sottrarre il governo da inevitabili polemiche».

Per falso sono indagati oltre a lui la dirigente Letizia Maria Di Liberti e tre su cinque dipendenti dell'assessorato, Mario Palermo, Salvatore Cusimano (nipote di Di Liberti), Emilio Madonia, e il vicario capo di gabinetto Ferdinando Croce. Di Liberti, Madonia e Cusimano sono finiti ai domiciliari, ma la dirigente, fa sapere l’ufficio stampa di Musumeci, mentre la struttura collegata all’assessore è stata eliminata, resterà al suo posto fino all’esito del processo.

Nelle intercettazioni si parte da inizio novembre e si arriva fino al 20 marzo, data in cui lo stesso governatore Nello Musumeci si stupisce perché il suo assessore lo rassicura sui dati. All’inizio tuonava contro il governo. Il Dpcm del 3 novembre firmato dal premier Giuseppe Conte aveva stabilito che l’Italia sarebbe stata divisa in zone di rischio a seconda dei dati. Il 4 novembre, il giorno in cui il ministero della Salute avrebbe stabilito le zone per ogni regione, l’assessorato lavorava per truccare i dati. Alla fine è stata zona arancione. «Inutile... inutile Letizia... è inutile che facciamo stare in piedi sacchi vuoti… – diceva Razza - c'è stata una gravissima sottovalutazione e il dato finale di questa sottovalutazione di questa gravissima sottovalutazione è scritto in quegli indicatori». Il presidente della regione sicilia Nello Musumeci intanto alzava la voce contro il governo: «Ci hanno imposto la zona arancione. È un provvedimento unilaterale, non concordato. E a molti appare dettato più da motivazioni politiche che scientifiche».

Zona arancione

«Mizzica!» aveva esclamato Di Liberti nel pomeriggio del 4 novembre davanti al numero dei morti da comunicare. Un ritardo nei deceduti di Biancavilla in provincia di Catania che non toglie la cifra: 7, da aggiungere agli altri, per arrivare a 26. Mario Palermo risponde: «Eh, ma cominciano a morire!» e «alcuni sono giovani, alcuni sono giovani… quindi». «Caspita!» risponde lei, «adesso chiamo l’assessore». Chiama un collaboratore di Razza: «Digli solo… Biancavilla, i deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?». La risposta ormai è nota. Di Liberti parlando più tardi con il vice capo di gabinetto di Razza, Croce, dopo che la Sicilia è diventata arancione racconta: «Ruggero (Razza, l’assessore, ndr), dice domani mattina rivediamo tutti i parametri, da una settimana all’altra e vediamo effettivamente qual è il parametro che ci ha fatto scattare l’arancione, per capire magari come procedere.

Perché il problema fondamentale è se diventiamo completamente zona rossa». Di Liberti e Croce si confrontano sulla situazione, mentre parlano di numeri delle terapie intensive che scendono «perché ce li scotoliamo» (li scrolliamo, ndr) con la morte dei malati. Più avanti Di Liberti ammette: «Quindi la situazione è un poco bruttina. Boh!».

Il vice capo di gabinetto chiede dell’assessore: «Ruggero come ti è sembrato? Come lo hai sentito?». E lui in effetti, risponde la dirigente, era seccato: «Ah… seccato. Uno seccato mi disse: il fallimento della politica, non siamo stati in grado di tutelarci, i negozi che chiudono, se la possono prendere con noi, non siamo riusciti a fare i posti letto». Ma per lei tutto bene: «Ci dissi: ma non è vero, reggiamo perfettamente. Anche se in realtà, non ti dico, oggi è morta una, perché l’ambulanza è arrivata dopo 2 ore ed è arrivata da Lascari. Ed è morta, e qua c’è il magistrato che già sta, subito, ha sequestrato le carte…. due ore l’ambulanza. Perché? Perché sono tutte bloccate nei pronto soccorsi. Tutte!».

Zia e nipote

ll venti dicembre arrivano i dati dell'ospedale civico di Palermo, dato alto per la dirigente Di Liberti. Al telefono con il dipendente e nipote Salvo Cusimano parlano esplicitamente del ridimensionamento dei dati da inviare. «Gliene ha tolto qualcuno», chiede Cusimano e la zia dirigente risponde affermativamente.

Dati aggregati che poi vengono comunicati al ministero della Salute. «Emerge una gestione dei dati statistici relativi al contagio da Covid-19, finalizzata alla “gestione preordinata” della percentuale derivante dal raffronto tra numero di tamponi molecolari effettuati e soggetti positivi, che deve rimanere intorno al 10 per cento», scrive la giudice Caterina Brignone.

Salvo Cusimano chiede, il 24 dicembre: «E 7.500 ti vanno bene tamponi?» e ottiene questa risposta che chiarisce la missione della dirigente: «Fai a 8.100, per lo meno abbiamo il 10 per cento, cerchiamo di evitare di andare troppo sopra il 10», risponde Di Liberti.

La preoccupazione della dirigenza è sempre di comunicare un dato costante senza far presupporre un abbassamento dei dati giornalieri. Questo succede, nel periodo delle feste natalizie, e le telefonate sono inequivocabili. A Natale i tamponi sono pochissimi, la soluzione offerta dalla dirigente Di Liberti è semplice: «E i tamponi li aumentiamo, fregatene. I tamponi glieli aumentiamo e 100 di ieri li ho tolti di proposito per metterli oggi». Sembra il gioco delle tre carte, si mischiano dati di tamponi, di positivi per piegare i numeri alla volontà dirigenziale.

Il nipote e dipendente palesa una qualche perplessità: «Ma non è veritiero (il dato, ndr), chi è che fa i tamponi a Natale, zia?». La zia, Di Liberti, risponde: «Vabbè i laboratori pubblici» prima di scoprire che alcuni laboratori non ne hanno fatti. Così i tamponi passano da 1200 a 4038 con un tocco di penna, si danno i numeri anche sui positivi. «Fregatene», dice Di Liberti. Ci sono intercettazioni che chiamano in causa l'assessore che testualmente dice: «Vediamo, semmai, stringiamo na picca (un poco ndr), vediamo...va». Di Liberti chiama il direttore Palermo, preoccupata per aumento dei ricoveri, e dice di aver parlato con l'assessore e di «sistemare i numeri».

Così concordano «di abbassare i ricoveri ordinari da 1.050 di 30 unità fino a 1.020 e di lasciare invariato il dato della terapie intensive ovvero 174», scrive il giudice. A leggere le intercettazioni i dati dei positivi, dei morti, dei tamponi effettuati diventano intercambiabili, modificabili a piacimento. «Allora, tamponi ce ne puoi aggiungere 2 mila perché sono tutti quelli che si perdono, e te ne freghi», dice la dirigente a inizio anno. Di Liberti comunica sempre i dati all'assessore prima di inviarli all'istituto superiore di Sanità. Quando aumentano troppo i positivi, aumentano anche i guariti in un continuo gioco di numeri e cifre sballate.

Il 12 febbraio scorso Di Liberti parla con Rappa, l'assessore. Hanno un problema: il numero di ricoverati in terapia intensiva. «A quanto dobbiamo arrivare in terapia?», chiede l'assessore. La dirigente risponde: «Facciamo almeno più 3». Questa costante variazione dei dati e gestione falsificata dei numeri non risparmia neanche Renato Costa, il commissario per l'emergenza Covid-19 che inizialmente era contrario. «Il Commissario Costa, seppur nella prima conversazione abbia suggerito alla Di Liberti di non variare il dato, con questa conversazione, invero, concorda la variazione del dato dei casi positivi della provincia di Palermo», scrive il giudice.

Un’altra indagine

L'indagine nasce da un altro filone di inchiesta che riguardava una presunta frode in pubbliche forniture, ma dalle intercettazioni sono emersi elementi per aprire un fascicolo anche per il reato di falso. Gli inquirenti precisano in merito alla posizione di Costa, e anche di altri due dipendenti dell'assessorato, che non risultano indagati ma «il cui agire sembra aver contribuito alla falsificazione di dati rilevanti».

Il giudice precisa che l'inchiesta prosegue con il riscontro di tutti gli atti e i documenti in grado di confermare e ricostruire la catena delle falsità scoperte e commesse. Il giudice riepilogando i materiali raccolti, in buona parte intercettazioni telefoniche, scrive: «Danno l’idea dall’assoluto caos e della totale inattendibilità dei dati trasmessi, che sembrano estratti a sorte e la cui dimensione reale appare sfuggita agli stessi soggetti che li alterano».

Verso Pasqua

Il giudice non ha dubbi: «Si è cercato di dare un’immagine della tenuta e dell’efficienza del servizio sanitario regionale e della classe politica che amministra migliore di quella reale e di evitare il passaggio dell’intera Regione o di alcune sue aree in zona arancione o rossa, con tutto quel che ne discende anche in termini di perdita di consenso elettorale per chi amministra».

Per gli inquirenti l'assessore Razza offre un «contributo di particolare rilievo e peso decisivo, tenuto conto della carica ricoperta e, dunque, della copertura politica assicurata all’operato della dirigente generale». Da questo disegno sembra essere escluso il presidente Musumeci che «anzi pare tratto in inganno dalle false informazioni che gli vengono riferite», scrive il giudice. Il presidente viene intercettato al telefono proprio con il suo assessore in merito alla programmata e non disposta zona rossa a Palermo di cui hanno parlato il 20 marzo. La soglia è di 250 contagi per 100.00 abitanti Musumeci mostra stupore e chiede spiegazioni: «Eh minchia… allora perché… mi avevi detto 400!». L'assessore lo rassicura parlando di una media di contagiati che è «abbondantemente sotto».

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