L’idillio non si è ancora spezzato, ma tra la vicenda dei pagamenti del pos e il caro carburante il rapporto non è più quello di qualche mese fa, quando Fratelli d’Italia dall’opposizione era il principale referente politico dei tassisti. Tanto da ingaggiare un duello, in parte vinto, nel centrodestra con la Lega, storicamente paladina delle auto bianche. Ma la categoria inizia a sentire aria di tradimento, nonostante agli atti restino varie iniziative del passato intraprese dal partito di Giorgia Meloni in loro favore, come le barricate erette contro il disegno di legge sulla Concorrenza che il governo Draghi voleva completare, riscrivendo le norme del settore del trasporto pubblico non di linea.

E i tassisti, tra tutti i partiti, hanno voluto incontrare solo i rappresentanti di FdI, elogiando pubblicamente il loro impegno: un colpo per la Lega di Matteo Salvini, all’epoca in maggioranza. L’approdo a palazzo Chigi di Meloni è stato perciò salutato con grande favore dalla categoria, che conta su 40mila licenze attive, rappresentando una delle lobby più potenti e che sinora ha piegato i voleri di qualsiasi governo intenzionato a mettere mano al settore. Diventando una colonna elettorale per le destre, che adesso rischia di essere un fronte in apertura. 

Delusione pos

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Dopo oltre due mesi, l’esecutivo amico non ha fatto quanto si attendeva: qualcosa si è incrinato, alimentando malumore e mugugni. La prima vicenda è stata relativa alla misura sul limite dei pagamenti con il pos: l’innalzamento a 60 euro della soglia per cui si poteva rifiutare la transazione era un paletto fissato fin dalle prime bozze della legge di Bilancio.

La presidente del Consiglio e il minsistro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sembravano intenzionati a tirare dritto, rendendo felici decine di migliaia di tassisti. «La questione pos sollevata dal governo ha il grande merito di sollevare un aspetto di giustizia economica su cui troppi, per interesse o cinica indifferenza, tacciono», sottolineava a inizio dicembre Claudio Giudici, presidente di Uritaxi, una delle sigle più battagliere.

Il leader dei tassisti ha definito il pagamento con carta «una tassa sul lavoro di cui beneficia un privato, banche e finanza in generale. Il piccolo, cioè l’esercente, deve pagare al grande, cioè alle banche, quello stesso servizio pos che invece lui non può far pagare al consumatore».

Lo stesso Giudici non ha quindi potuto che manifestare la propria amarezza davanti alla retromarcia dell’esecutivo: «Sul pos, se non vuole essere una sconfitta totale, bisogna che il governo adesso vieti che un’attività non accetti pagamenti in contanti, in quanto unica moneta legale di conto obbligatoria», ha sostenuto su Twitter, taggando tutti i leader del centrodestra e prendendo suo malgrado atto della cancellazione della norma. 

Il Draghi 2

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Dopo la spia dell’impiego della moneta elettronica per i pagamenti, è scattato un altro allarme di fronte alle parole della presidente del Consiglio sul fatto che «il mondo è cambiato» e quindi certe posizioni non possono essere mantenute fino alla fine.

La premier parlava delle accise sul carburante, ma il senso è espandibile anche su altri dossier, incluso l’accettazione delle richieste dell’Unione europea sulle liberalizzazioni delle licenze.

Il timore è che Meloni diventi «un Draghi 2». Il costo della benzina ha rappresentato la miccia che ha fatto adombrare lo scenario della mobilitazione da parte della Uil Trasporti Lazio.

«Per i tassisti d’Italia il 2023, a causa dell’aumento dei listini dei carburanti, inizia a prendere la forma di un vero e proprio incubo», dice il coordinatore regionale del sindacato, Alessandro Atzeni, che pure è sostenitore Fratelli d’Italia, come emerge sui profili social su cui spiccano i retweet delle foto di Meloni, con i suoi slogan, e quello del ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida.

Ipotesi mobilitazione

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Eppure Atzeni, nonostante la precisa collocazione politica, non lesina polemiche: «I contraccolpi economici dovuti a questa stangata, e il già noto drastico taglio del credito d’imposta sulle accise relative ai carburanti utilizzati dai veicoli destinati al trasporto pubblico non di linea, rischiano seriamente di mettere in ginocchio il servizio taxi».

Dalla premessa arriva una presa di posizione: «Speriamo che a questa situazione si faccia al più presto fronte con delle misure adeguate. Altrimenti saremo costretti a riavviare la macchina della protesta».

La mobilitazione non è al momento paragonabile a quella dei mesi scorsi contro lo spauracchio del ddl Concorrenza e il rinnovo dell’eterno derby con gli ncc, il servizio di noleggio con conducente.

Ma qualcosa si muove. Ci si lamenta delle scarse attenzioni finora ricevute: sul tavolo non c’è un dossier specifico per le auto bianche, che gradirebbero in questa fase delle agevolazioni sull’acquisto del carburante.

I problemi si verificano dal nord a sud. Nel Lazio c’è un maggior fermento, essendo storicamente l’epicentro delle proteste. Ma si materializzano altre iniziative che palesano la criticità innescata dal rincaro dei prezzi del carburante.

A Vicenza, infatti, la cooperativa locale Cotavi ha chiesto al Comune la possibilità di innalzare i prezzi delle corse. La giunta, guidata dal sindaco di centrodestra con trascorsi in Alleanza nazionale Francesco Ruocco, ha dato il via libera: da febbraio prendere un taxi a Vicenza costerà 15 centesimi di euro in più per ogni chilometro percorso. Un rincaro importante che potrebbe estendersi ad altri territori.

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