«Ormai non è neanche più omicidio, ma vilipendio di cadavere». La battuta circola da giorni tra viale Mazzini e Saxa Rubra, la vittima eccellente – ovviamente solo metaforica – su cui si consumano le nostalgie di chi ne è rimasto orfano è Rai 3. Nell’ottica della destra, soprattutto quella meloniana, che ha come priorità il riscatto – che Giorgia Meloni traduce con il sobrio verbo «riequilibrare», ma qualcuno in azienda descrive in maniera più franca come «arraffare» – Rai 3 è solo l’ennesima realtà da presidiare.

Ma ormai non resta più tanto se non un pallido ricordo di quella rete che, in mano ad Angelo Guglielmi e Sandro Curzi, è diventata il punto di riferimento per l’informazione culturale e l’approfondimento del servizio pubblico. Se la prima è definitivamente tramontata, la seconda arranca.

I punti di riferimento hanno lasciato il canale a poco a poco: Fabio Fazio a Discovery, Lucia Annunziata a Radio24, Antonio Di Bella – in pensione – a Tv2000 e Maurizio Mannoni – pensionato anche lui – ormai ospite fisso a La7. Gli ascolti testimoniano che anche il pubblico affezionato è migrato altrove e quello che doveva arrivare non ha trovato nelle nuove offerte pane per i suoi denti.

Per non lasciare nulla al caso, però, la destra ha intenzione di ampliare il presidio – il manipolo, termine forse più adatto – di giornalisti d’area con due pezzi da novanta come la vicedirettrice del Tg1 Incoronata “Cora” Boccia e il direttore di Cultura identità, Edoardo Sylos Labini.

A soffrire sono anche i prodotti che dovrebbero essere più congeniali a chi prediligeva la rete dell’Ottavo nano e Gazebo, Ballarò e Cartabianca: in un martedì di marzo Petrolio di Duilio Giammaria totalizza uno share del 2,8 per cento, La confessione di Peter Gomez fa il 4,4 per cento. Eppure, Rai 1 era «spenta», come si dice in gergo, con una commedia italiana che non ha insidiato la partita di Canale 5. Il quadro per portare gli spettatori sul terzo canale c’era tutto.

Ma nessuna possibilità di salvare il martedì in grave sofferenza dopo l’addio di Bianca Berlinguer e l’esperienza fallimentare di Nunzia De Girolamo. Le speranze sono tutte riposte in Piero Chiambretti, anche se il suo programma quasi sicuramente avrà ben poco del talk politico caro al pubblico dai tempi di Giovanni Floris. Convince poco anche la combo mattutina Roberto Inciocchi-Annalisa Bruchi: Agorà arriva al 4,3 per cento, Restart solo al 3,5 per cento.

Innesti alieni

Per non parlare dei programmi “alieni” che i direttori di genere della scuderia meloniana hanno fatto planare nei palinsesti della terza rete, come Avanti popolo e Il provinciale, entrambi puniti con ascolti da elettrocardiogramma piatto.

L’inventore di De Girolamo conduttrice politica, il direttore dell’approfondimento Paolo Corsini – che siede su una poltrona tra le meno invidiate, visto che dal punto di vista di chi non apprezza le inchieste di Sigfrido Ranucci e Riccardo Iacona porta più rogne che altro – ci riprova con 100 anni di notizie. La retrospettiva sui cent’anni di radio e settant’anni di televisione è stata affidata a Boccia. Arrivata dalla Tgr Sardegna con una doppia promozione, da vicecaporedattrice a vicedirettrice, la fede nerissima e la sua fame di presenza in video ha fatto alzare diversi sopraccigli in azienda.

Ora per sei settimane per mezz’ora racconterà l’informazione Rai affiancata da ospiti come Paolo Mieli e Bruno Vespa. Nell’intervista di presentazione a Cultura identità dà una sua versione del concetto di «vocazione pluralista» della Rai: «Il nostro è un paese fatto anche di tante province di piccole dimensioni e di regioni con patrimoni identitari e culturali molto diversi tra di loro: la Rai li racconta tutti, uno per uno, facendosi capire indistintamente da laureati e non».

Se tra i patrimoni culturali siano previsti anche quelli di centrosinistra non è dato saperlo. Nel dubbio, l’intervista è stata concessa a una testata d’area diretta da Sylos Labini che, sempre su Cultura identità, si era già autopromosso. Su Rai 3 andranno infatti in onda anche quattro sue puntate su altrettanti personaggi (non è chiara la chiave con cui li tratterà, ma la selezione è già tutto un programma): Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Giuseppe Mazzini e Giovannino Guareschi, «già cavalli di battaglia del nostro direttore che li ha interpretati numerose volte in passato». E come ti sbagli.

Chissà se la trasmissione del campione dell’Italia delle cittadine e dei paesi andrà meglio de Il provinciale, fiore all’occhiello della produzione del direttore del Day time Angelo Mellone, che da settimane arranca sotto al 3 per cento. Sempre in prima serata su Rai 3.

Nel dubbio, Mellone è in lizza per una promozione, nei corridoi lo vedono già ovunque, prossimo direttore generale (improbabile), direttore della Fiction (tra i suoi desiderata, ma difficile), coordinatore dei generi (poltrona ad hoc molto plausibile) o superdirettore Day e prime time (piuttosto verosimile).

Dalla sua ha sicuramente l’incrollabile fiducia di Giampaolo Rossi, che lo considera una delle menti più sopraffine del panorama culturale italiano. Che le sue idee finora siano rimaste lontane (per usare un eufemismo) dai picchi di share di certe glorie del passato è del tutto secondario.

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