La ragazza, diabetica, non ha avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Seduta al suo banco alla Vanvitelli di Napoli, il microinfusore nascosto sotto la felpa comincia a vibrare come impazzito: la glicemia sale, inspiegabilmente, troppo in fretta. Un picco improvviso, violento, di quelli che lasciano il corpo stordito e la mente nel buio. Nessuno le aveva detto che l’ateneo avrebbe attivato dei “jammer”, dispositivi che bloccano le frequenze per impedire l’uso di telefoni e smartwatch. Una misura che potrebbe anche avere senso, se comunicata, se autorizzata, se pensata per proteggere tutti. Ma non è stato così. Lei non sapeva. E quel silenzio, quella leggerezza amministrativa, l’hanno spinta a un passo dal coma diabetico.

Le foto online

È da questo episodio che comincia la storia del test di medicina del 20 novembre. Da una vita messa in pericolo per salvare un’idea di ordine che, altrove, veniva infranta senza alcuno sforzo. Perché mentre la ragazza combatteva contro il suo corpo, fuori dall’aula, online, sui telefoni rimasti accesi in tutta Italia, il test veniva fotografato, diffuso, cercato su Google.

«Centinai­a di foto dei quiz», dice oggi il neonato comitato Medicina senza filtri, promosso dal presidente di +Europa e Radicali Matteo Hallissey e dall’avvocato Francesco Leone che denuncia: «Boom delle ricerche online delle parole chiave durante la prova, gravi falle nella vigilanza, dispositivi elettronici usati senza alcun controllo: una selezione pubblica trasformata in una gara truccata». 

Sul caso del Vanvitelli a illuminare la gravità della situazione è l’avvocato Leone, da anni specializzato nella selezione dei concorsi pubblici: «Quando l’utilizzo dei dispositivi elettronici viene autorizzato, c’è la necessità di tutelare chi ha bisogno di connessione per dispositivi salvavita, come pacemaker o microinfusori per diabetici. Questi dispositivi devono funzionare secondo le norme di sicurezza e in modo legittimo. Alla Vanvitelli, invece, è stato installato un congegno probabilmente non autorizzato, certamente senza alcun avviso o cartellonistica che informasse i candidati. Il cosiddetto “semestre filtro” è stato il semestre caos».

Poche informazioni

A testimoniare “il caos” anche gli studenti che all’Ergife, a Roma, dove ogni anno si concentrano migliaia di speranze e la stessa quantità di paure, raccontano scene da «esperimento sociale». «Non ci hanno detto quasi nulla», spiega una candidata. «Ci hanno fatto tenere lo zaino sotto al banco, anche la giacca. Intanto c’erano persone che parlavano tra una prova e l’altra, con i moduli davanti agli occhi. Chiedevano se potevano tenerli, nessuno interveniva». E non solo: «Due ragazze hanno tenuto il telefono acceso nonostante tutti i richiami. Non se ne sono mai separate fino al termine generale della prova».

Il racconto è sempre lo stesso, ovunque lo si ascolti: vigilanza intermittente, regole applicate a macchia di leopardo, controlli lasciati alla buona volontà dei singoli commissari. E intanto i programmi sono cambiati, allargati, resi più complessi. «Hanno ampliato tutto e ci hanno dato meno tempo per prepararci», racconta un candidato. «Questi non sono argomenti introduttivi: sono programmi d’esame veri, come quelli del corso di medicina. Li abbiamo studiati in due mesi».

La sensazione, quando gli chiedi di definire la mattinata, è di una stanchezza che pesa sulle parole: «Stressante, disorganizzata, propaganda». Non propaganda politica, ma dell’illusione di un sistema equo, di una selezione trasparente, di un filtro meritocratico che invece si rivela un paravento di cartone.

La diffida

È anche per questo che Hallissey e Leone hanno diffidato la ministra Bernini, chiedendo l’annullamento della prova del 20 novembre e l’avvio immediato di indagini sui commissari e sui candidati che avrebbero utilizzato dispositivi elettronici. Ma non basta annullare: serve ricostruire. «La prova del 10 dicembre – sostengono – deve svolgersi con misure reali di sicurezza: metal detector obbligatori, controlli uniformi in tutti gli atenei». 

Il comitato Medicina senza filtri nasce allora come una richiesta di giustizia minima, una pretesa di dignità in un paese dove troppo spesso la selezione pubblica si trasforma in trappola. Il test d’ingresso, spiegano, dovrebbe essere un ponte verso il futuro, non un labirinto fatto di rischi, disparità e tecnologia clandestina.

«Quello che è accaduto dimostra che il sistema è stato un disastro» afferma Leone che un anno fa, audito in commissione Cultura aveva anticipato alla ministra quello che sarebbe successo: «Serve mettere in campo un tavolo di confronto che superi l’esperimento del “semestre filtro”, altrimenti la situazione diventerà sempre più complicata. La ministra non si è dimostrata adeguata al ruolo che ricopre, così come il ministero. Quello che è successo mostra chiaramente che non hanno compreso le esigenze di una prova selettiva che coinvolge decine di migliaia di candidati, richiedendo attenzione e ascolto. Il tempo e l’esperienza dello scorso anno avrebbero dovuto servire come lezione».

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