Il trattato del Quirinale è ormai quasi cosa fatta: Emmanuel Macron e Sergio Mattarella lo firmeranno venerdì a Villa Madama. A tre giorni di distanza, il contenuto del testo che dovrebbe avvicinare Parigi e Roma su una lunga serie di temi è ancora ignoto non solo al pubblico, ma anche al parlamento e ai ministeri.

Perfino dal ministero degli Esteri spiegano che il negoziato è interamente in mano a palazzo Chigi e a esser filtrati sono giusto i capitoli che l’accordo toccherà: tra gli altri difesa e sicurezza, affari esteri, immigrazione e giustizia, energia.

Nelle commissioni Esteri di Camera e Senato inizia a montare una certa insofferenza per il fatto che il governo non si sia preoccupato di condividere con il parlamento quasi nulla del testo che dovrà poi approvare.

Non è inusuale che siano i vertici dell’esecutivo a negoziare un trattato internazionale, soprattutto se l’interlocutore è uno stato verticistico come la Francia, ma la grande riservatezza che circonda il testo, passato per pochissime mani, ha anche suscitato le critiche della destra, che ha chiesto lumi con diverse interrogazioni a ministero degli Esteri e presidenza del Consiglio.

Improbabile che ci saranno risposte prima di venerdì, ma Lega e Fratelli d’Italia sono preoccupati soprattutto per le conseguenze commerciali dell’accordo e per il rischio che il trattato condizioni trattative future.

Secondo Claudio Dordi, docente all’università Bocconi ed esperto di Diritto internazionale dell’economia, «i brevetti sono già ampiamente regolati dal diritto Ue e da altri accordi, ben più incisivi». Anche per i condizionamenti futuri Dordi non vede rischi, «è più un trattato che ha valore politico e simbolico».

Senza il testo è difficile immaginare il contesto in cui si svolgeranno in futuro partite come il tentativo di Fincantieri di acquisire i cantieri navali di Saint-Nazaire, operazione fallita per volontà di Parigi.

La partita estera

Ma la questione riguarda anche collaborazioni già aperte, come quella di STMicroelectronics o l’esperienza più ricente di Thales Alenia Space, in mano per il 67 per cento alla francese Thales e per il 33 a Leonardo.

Soprattutto nel settore europeo sono tante le opportunità da cogliere nei prossimi anni, in particolar modo nel contesto della difesa comune europea.

L’altra questione centrale su cui trovare l’intesa è quella della politica estera. I toni pacati e le politiche prudenti di Mario Draghi però mal si conciliano con le frasi che si possono leggere nell’ultima intervista del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, che parla di «concorrenti che non hanno né tabù né limiti: mandano milizie private ovunque, dirottano gli aerei, fanno esplodere satelliti, sottomettono i popoli, sfruttano le risorse di alcuni continenti». Improbabile anche che l’Italia possa condividere con entusiasmo l’attivismo saheliano francese o le prese di posizione anti turche di Parigi.

La Francia punta molto sul trattato, ben consapevole che potrà portare a casa solo una parte dei propri obiettivi. Ma per quanto ristretto possa essere il terreno comune che unisce gli interessi commerciali ed esteri dei due paesi, può essere sufficiente per costruire un asse alternativo a quello tra Parigi e Berlino. Certo, per conoscere il prezzo della nuova alleanza bisognerà aspettare che il parlamento abbia modo di studiare il testo.

 

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