«Quello epistolare è un genere letterario. La lettera di Mario Monti sul Corriere della sera (mercoledì 4 agosto, ndr) a proposito della lettera della Banca centrale europea dell’agosto 2011 fa seguito a sua volta alla lettera di Franco Bruni su Domani. E che a loro volta fanno seguito a ben tre libri di Renato Brunetta. Che questa storia tiene molto, evidentemente». Il professore Giulio Tremonti risponde dalla montagna. Oggi è presidente di Aspen Institute Italia. Dieci anni fa, all’epoca dei fatti, era ministro dell’Economia del governo Berlusconi. 

Eppure – racconta – non fu lui a «lavorare» sulla lettera firmata dal presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet e quello entrante Mario Draghi. Era il collega Brunetta che se ne occupava. Oggi ministro del governo Draghi. «Confesso di non aver riservato la necessaria intensa attenzione all’ultima collana di lettere», finge di scusarsi Tremonti. «Ma la vicenda me la ricordo bene».

«Complotto, golpe, imbroglio», sono le definizioni di Brunetta di quella vicenda. Le sue?

Jürgen Habermas una volta mi disse così: «Fu un douce coup d’état». Gli obiettai che non era stato poi così dolce. Il 31 maggio 2011 nelle Considerazioni finali il Governatore della Banca d’Italia dice: «In Italia il disavanzo pubblico (...) è inferiore a quello medio dell’area euro (...) Appropriati sono l’obiettivo di pareggio di bilancio nel 2014 (...) Grazie a una prudente gestione della spesa durante la crisi, lo sforzo che ci è richiesto, è minore che in altri paesi avanzati». Il 21 luglio del 2011 nel “Comunicato ufficiale” del Consiglio dell’Unione europea c’è scritto: «In questo contesto, accogliamo con favore il pacchetto di misure di bilancio recentemente presentato dal governo italiano». Sulla stampa internazionale ricordo considerazioni molto positive sull’Italia della Merkel precedenti di almeno un mese. E gli articoli positivi sul Corriere della Sera firmati da Mario Monti a proposito della nostra gestione dei conti pubblici. Poi che succede: le linee della lettera vengono illustrate da Jean-Claude Trichet nella conferenza di Francoforte di giovedì 4 agosto. Sui titoli italiani è intenzionalmente allusivo. La lettera arriva in Italia il 5, venerdì, e contiene il diktat. Dice che se non ottemperiamo alle imposizioni i titoli italiani non verranno comprati. Insomma mette sul tavolo il default. Chiede una manifestazione di ottemperanza entro il lunedì 8 agosto. Il sequitur della lettera fu obbligato: non abbiamo accettato, siamo stati costretti. Aggiungo un dato stilistico. La lettera era spedita «strictly confidential».

Una lettera riservata. Si capisce, data la delicatezza del messaggio. O no?

No. La Banca centrale scrive a un governo nazionale imponendo imponenti riforme ma strictly confidential? Formule di questo tipo, magari non in inglese, fanno parte del gergo della malavita. Devo dire che in quella prosa aleggiava un accento italiano, palatino-lagunare. Qualche giorno dopo fu diffusa a mezzo stampa. Fui io stesso a darla al Corriere. Era quasi infantile la pretesa di riservatezza.

Era firmata anche da Draghi, all’epoca governatore della Banca d’Italia ma già indicato come nuovo presidente della Bce.

Su Draghi scriva omissis. Non personalizziamo, dico solo che è curioso che l’Europa si sia comportata così. Considerando la gravità degli impegni richiesti è curioso che nell’arco di poco tempo, fra fine maggio e inizio di agosto, sia da una posizione al suo opposto. Non mi risulta che in mezzo ci sia stato alcun evento tale da determinare una variazione così radicale. Lo chiedo da allora: cosa è successo nel frattempo?

Lo dica lei. Con Draghi ne ha mai parlato?

No. Le dico un altro dettaglio interessante. Io vengo a sapere della lettera dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nei suoi tre libri Brunetta dice che invece la conosceva da prima, da tempo. Aggiungo che la corrispondente lettera spagnola era puramente formale. E infatti il presidente Zapatero la trattò come entité negligeable.

E invece Berlusconi fu costretto alle dimissioni, a novembre 2011.

La lettera conteneva la costrizione a una serie di riforme, persino modifiche della Costituzione da fare secondo loro in pochi giorni, alcuni importanti modifiche del diritto del lavoro. E l’anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013. La Bce era passata dal giudizio di «prudente» sulla nostra gestione all’imposizione di un’iperausterità.

Un complotto?

In termini istituzionali la Banca avrebbe dovuto segnalare alla commissione eventuali anomalie, all’Ecofin, il coordinamento dei ministri economici. E non in una conferenza stampa e con una lettera occulta. L’ordinamento europeo prevede l’autonomia della Banca centrale dai governi, e presuppone l’indipendenza dei governi dalla Banca. Quella lettera segnò una violazione dei principi ideali e legali dell’Europa. In realtà l’Italia era un falso obiettivo. La crisi era quella delle banche tedesche e francesi. Ne vuole la prova? Salvata l’Italia con il golpe del 2011, che bisogno c’era di “salvare” l’euro l’anno dopo? La causa della crisi non era in Italia.

Monti scrive che l’Italia fu eterodiretta dalla Bce che ci inflisse un eccesso di austerità. Lo dice all’indirizzo di Draghi. Che oggi ha abbandonato, per fortuna, il rigore.

Non parlo di Draghi. E di Monti cosa vuole che le dica? Monti è stato artefice e vittima del suo destino. Che l’azione del suo governo sia stata molto negativa oggi lo dice anche Monti stesso. Non posso che condividere. Le svelo un dettaglio. Nella conversazione con lui per il cambio delle consegne, ricordo il suo sguardo di disapprovazione mentre i commessi mi salutavano affettuosamente. Poi mi raccontò del suo piano per l’imposta per le seconde case. Io gli spiegai che in un paese con grandi migrazioni come l’Italia, dal sud al nord e dall’Appennino alla Bassa, la cosiddetta seconda casa è la prima casa per milioni di famiglie, e lì che sperano di tornare in pensione. Le seconde case non erano solo quelle di Sankt Moritz. Gli feci un invito alla prudenza, senza successo. L’impatto di quella tassa è una delle cause della seconda recessione.

Il governo dei tecnici sbagliò anche la tecnica?

Sì. Gli raccontai che nella Repubblica di Platone la politica è definita «téchné politiké»: il politico deve conoscere la struttura della nave, l’equipaggio, i fondali, le correnti, i venti e le stelle. Era un presagio non positivo sul governo dotato di “capacità” puramente “tecniche”.

Comunque di lì partì una frattura con l’Europa, di cui voi non eravate fan.

Lei dice? Guardi che ancora in quel novembre io ero il presidente dei ministri del tesoro del Ppe nell’eurogruppo. Non ci fu rottura con l’Europa. E comunque la verità l’ha raccontata Zapatero, che non è uno di destra. Siamo a fine 2011, al G20 di Cannes. La Spagna crede di essere nel mirino e invece scopre che l’obiettivo è l’Italia. «Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi», rivela. Lì si comincia a parlare di Monti. «Gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo», racconta Zapatero.

Quella stagione di rottura fra il centrodestra e l’Europa è archiviata?

È fisiologico che l’Europa attraversi fasi diverse. Ma adesso la politica europea si basa sugli eurobond. Che sono una proposta della destra italiana: li ho proposti io nel 2003, durante la nostra presidenza del Consiglio europeo e poi di nuovo nel 2010 con Junker. Oggi gli eurobond sono considerati la formula vitale per l’Europa. E se mi chiedono chi è europeista dico che questo è un titolo di connessione strutturale fra noi e l’Unione.

Non però fra l’Unione e tutto il centrodestra italiano.

Questa connessione strutturale resterà anche in caso di vittoria del centrodestra. Comunque la valutazione sulla prossima Europa va fatta a partire dalle prossime elezioni tedesche. Il programma dei popolari esclude il debito comune, normalizza la Bce e su queste basi chiede di riscrivere il patto. E alle elezioni francesi vinceranno i repubblicani.

Crede che il nuovo asse franco-tedesco smonterà l’Europa nata dalla pandemia?

Vedo uno scenario politico molto simile a quello che è stato e molto diverso da quello che è. Si riconsoliderà il trattato dell’Eliseo (del 1963, ndr). E torneranno a un’impostazione ortodossa.

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