La voglia di mettere mano ai dossier non è più quella dei tempi migliori, quando Giulio Tremonti, da ministro dell’Economia, doveva pensare ai conti del Paese, seguendo il suo sacro principio della finanza creativa. A poco meno di un anno dall’insediamento nel ruolo di presidente della commissione affari esteri alla Camera, l’ex numero uno del Mef non ha lasciato segni indelebili. Certo, era partito di gran carriera, lasciando intendere di voler lavorare sodo: dalla commissione, in pochi mesi, sono state deliberate ben quattro indagini conoscitive, gli strumenti di approfondimento parlamentare - attraverso le audizioni di esperti - su specifici temi. Quelle che alla fine del percorso portano spesso alla stesura di una proposta di legge.

Incarico di consolazione

Il primo bilancio non è un affresco di vitalità. I cicli di audizione sono andati a rilento, la voce degli esperti è stata ascoltata raramente. Varie indiscrezioni raccontano di Tremonti animato da un pizzico di delusione per questo suo ritorno in parlamento. Immaginava altro per sé in questa legislatura. Appena dodici mesi fa il suo nome era proiettato verso ben altri lidi, alquanto prestigiosi, risultando una presenza fissa nel totoministri. C’era l’ipotesi di un ritorno al Mef per prendersi la rivincita tanti anni dopo o comunque di una poltrona di primo piano. Lui si muoveva con cautela con dichiarazioni mirate contro il governo Draghi, a suo dire responsabile di una «una legge Finanziaria colabrodo». Musica per le orecchie di Giorgia Meloni e dei vertici di Fratelli d’Italia. Solo che, a risultato acquisito, è andata diversamente: Tremonti ha dovuto accontentarsi di un incarico di consolazione a Montecitorio.

Lo ha accettato ma senza brillare in maniera particolare, benché il diretto interessato pare pensarla diversamente. «Abbiamo approvato risoluzioni e ratificato accordi, lavorando in maniera soddisfacente», ha detto, a porte chiuse, ai colleghi di maggioranza.

I fatti vanno in un'altra direzione. Un esempio? L’indagine conoscitiva «sulle dinamiche del commercio internazionale e l'interesse nazionale» si poneva l’ambizioso obiettivo di valutare le «forme di governance della globalizzazione e delle principali criticità, focalizzando la ricerca sui profili istituzionali dei processi economici, finanziari, ma anche sociali, della globalizzazione». L’azione puntava successivamente a «definire un framework di regole», grazie ai pareri acquisiti. Le buone intenzioni si sono infrante contro l’andamento lento dei lavori. La deliberazione dell’indagine in commissione esteri risale al 12 gennaio, solo dopo quattro mesi c’è stata la prima audizione, il 17 maggio, quando a Montecitorio è arrivata l’amministratrice delegata di Sace, Alessandra Ricci. Da allora nulla più. Agli atti, dopo otto mesi, resta solo un parere.

Audizioni con il contagocce

Sempre il 12 gennaio, la commissione guidata da Tremonti aveva proceduto a varare l’indagine conoscitiva «sull’impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni». In questo caso c’era anche l’impegno contro le violenze subite dai cristiani nel mondo. Tra i focus c’era infatti quello «riservato al tema del rispetto delle minoranze e della libertà religiosa, anche in relazione al persistere di movimenti fondamentalisti già emersi negli scorsi anni». Un altro riferimento era per la valutazione su come sia cambiata la nozione di «diritti umani». Il primo ciclo di audizioni è datato 16 marzo. Quel giorno si sono collegati in videoconferenza alcuni rappresentanti della comunità peruviana residenti in Italia.

Il secondo appuntamento c’è stato il 16 giugno con l’audizione di Marguerite Barankitse, attivista per i diritti umani in Burundi. Finita qua, almeno per ora. Una lunga impasse ha caratterizzato inoltre l’indagine «sui risvolti geopolitici connessi all’approvvigionamento delle cosiddette terre rare», gli elementi chimici fondamentali per la produzione dell’industria elettronica e tecnologica. La deliberazione è avvenuta il 22 marzo, la prima e unica audizione c’è stata l’11 luglio. E ancora peggio va con i lavori per approfondire le «tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell’indo-pacifico».

La commissione ha approvato l’indagine l’11 maggio, da quel giorno non c’è stata nemmeno un’audizione. Dalla maggioranza non fanno drammi e anzi respingono gli addebiti: «Colpa delle missioni in cui sono stati impegnati i deputati». Un grande classico della destra meloniana: la responsabilità è sempre degli altri.

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