Solo il 12 per cento delle conversazioni sui social riguarda la politica, segno di un alto livello di disaffezione da parte dei cittadini. E il 58 per cento delle discussioni tra gli utenti risulta polarizzata: o si sta da una parte o dall’altra, con poca disponibilità ad ascoltare idee diverse. È quanto emerge da un’analisi di SocialPol, presentata mercoledì a Roma in un dibattito con il sindaco di Firenze Dario Nardella e il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana.

O di qua o di là

La ricerca illustrata da Luca Ferlaino, che ha analizzato le conversazioni web e social nel 2023, mostra che su 100 milioni di interazioni poco più di un decimo presenta contenuti a sfondo politico. Di queste, solo il 5 per cento sono post e commenti su appuntamenti elettorali, dalle europee alle regionali. Quasi il 60 per cento dei materiali ha una forte connotazione politica, con toni accesi e poco concilianti: al momento, di elezioni parlano quasi solo i “tifosi” o persone molto coinvolte nell’attività pubblica.

Lo studio smentisce quindi l’impressione, ricavata dai media tradizionali, che le elezioni europee e il dibattito sulle candidature siano già al centro della discussione online. Per l’elettore medio così non è, come confermano gli argomenti correlati alla politica: gli italiani ne parlano soprattutto in relazione a temi concreti (economia e Pnrr, salute, immigrazione, ambiente e transizione verde) e meno in termini di politics.

Il gioco dei leader

«Per anni si è detto che Internet e i social ci fanno vivere in bolle, nelle cosiddette echo chambers. In realtà entrare in contatto con idee diverse è più facile online che offline», dice Luigi Di Gregorio, docente di comunicazione pubblica e consulente per vari candidati di centrodestra (dal presidente del Lazio Rocca alla premier Meloni). «Ma siamo animali emotivi: proprio quando siamo esposti alle opinioni altrui cresce il disagio e la voglia di chiuderci nelle nostre idee».

Per questo, comunicare i temi entrando nel merito con numeri e ragionamenti non sempre paga: «Lo ripete da tempo George Lakoff, che contesta ai democratici americani una comunicazione troppo cerebrale, che fatica a raggiungere gli elettori». Secondo Di Gregorio, non è detto che la polarizzazione faccia male alla sfera pubblica, dato che spesso favorisce la mobilitazione dei cittadini: se provassimo a de-personalizzare, de-leaderizzare la politica, avvicineremmo gli elettori o li allontaneremmo di più?

Su questo tipo di analisi concorda Monica Nardi, portavoce di Enrico Letta nei mesi passati a palazzo Chigi e poi alla guida del Partito democratico: «La polarizzazione sui social media non è la causa della disaffezione per la politica, fenomeno che precede di tanti anni la diffusione degli strumenti digitali. La divisione in tifoserie è inevitabile e nel contesto italiano è conveniente per i leader».

Dal punto di vista tattico, una candidatura “di facciata” alle elezioni europee converrebbe sia alla presidente del Consiglio che alla segretaria del Pd. «Pur avendo io perso le elezioni con Letta, a Elly Schlein do un consiglio – continua Nardi – Fossi in lei scioglierei la riserva, in un senso o nell’altro, prima che lo faccia Meloni, per non dare sempre l’impressione di rincorrere la premier».

Comunicare l’Europa

Contro la divisione in tribù e il dibattito social si esprime il sindaco di Firenze Nardella, candidato alle elezioni di giugno: «L’approccio partigiano e fazioso è insito ai social media, che non sono adatti all’approfondimento. Ma se la politica affronta questioni che toccano la vita delle persone può esserci un riavvicinamento». Secondo Nardella, la sfida sta nel collegare le grandi opzioni ideali alle loro ricadute pratiche, ad esempio mostrando il legame tra la lotta al climate change e una migliore qualità dell’aria.

«Rispetto ad altre elezioni europee alcune cose sono cambiate, quest’anno saranno percepite come un referendum su due modelli alternativi e si è iniziato a parlarne con largo anticipo. In chiave nazionale, come sempre in passato, ma anche propriamente europea», rivendica Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, che allude a un possibile cambio di maggioranza all’Europarlamento.

Ma comunicare gli effetti concreti delle politiche comunitarie resta difficilissimo: «Noi provammo a farlo, nel 2013, coinvolgendo gli ultimi intellettuali con una forte idea di Europa, da Umberto Eco a Jacques Delors – dice ancora Nardi – Ora la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, vuole chiamare personaggi pop come i Maneskin. Poteva essere una buona idea, ma arriva troppo tardi e sembra strumentale alla sua possibile rielezione».

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