Un decreto sud che per il Mezzogiorno non prevede alcun investimento, salvo qualche sporadica eccezione per i capitoli emergenziali. C’è infatti una manciata di risorse per Caivano e per Lampedusa, ma senza un piano di rilancio. Spicca, però, un’antica ossessione della destra al potere: l’accentramento delle funzioni, in particolare nelle mani del ministro Raffaele Fitto che sarà chiamato a sovrintendere l’assegnazione dei Fondi per lo sviluppo e la coesione (Fsc).

Il provvedimento, oggi all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri, è una delle operazioni spot messo in campo dal governo: in assenza di disponibilità economiche e con i conti complicati della prossima manovra, l’obiettivo diventa quello di spostare altrove l’attenzione. E alimentare la narrazione di un esecutivo attento alle istanze del sud, benché i fatti dicano altro.

Narrazione elettorale

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha la necessità di limitare le conseguenze elettorali provocate dalla cancellazione del reddito di cittadinanza, che ha avuto le sue principali ricadute sulle regioni meridionali. Da qui l’idea di un decreto ad hoc che tenta di mascherare lo spostamento verso nord del governo. Uno spostamento che è stato sostenuto da FdI e dalla volontà della premier di accreditarsi come leader politica in grado di dialogare con le aree più produttive del paese, scalzando Matteo Salvini e la Lega. Ma che ha danneggiato chi, purtroppo da sempre, fa più fatica.

Sono lontani i tempi del discorso programmatico di Meloni alla Camera: «Il Mezzogiorno è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree, i fiumi, un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili», diceva di fronte ai deputati. A seguire l’impegno a non vedere più «il Sud come un problema».

Dodici mesi dopo, il bilancio per il sud dell’Italia è deficitario. L’unica vera misura che ha impattato sul meridione è stata l’abolizione del Rdc. È stato, però, un impatto negativo. Intanto, dall’altra parte la Lega insiste sull’approvazione dell’autonomia differenziata per ampliare i poteri delle regioni. Una misura che spacca in due il paese al di là delle appartenenze politiche: i governatori del nord spingono per arrivare a una riforma prima possibile, mentre al sud anche i presidenti del centrodestra, da Roberto Occhiuto (Calabria) a Renato Schifani (Sicilia), sono più tiepidi, se non scettici.

Mezzogiorno definanziato

«Ci troviamo di fronte a un governo che è contro il Mezzogiorno nelle sue scelte fondamentali», dice a Domani il deputato del Pd, Marco Sarracino. «Gli esempi  abbondano, su tutti la riduzione degli strumenti contro la povertà e la contrarietà al salario minimo. Per avviare un vero dialogo serve comunque una sola azione: il governo deve ritirare il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata», aggiunge il parlamentare dem. Un’ipotesi che non è nemmeno sul tavolo. Resta agli atti, invece, l’immobilismo verso la «questione meridionale». La revisione del Pnrr è un macigno che pesa sui comuni più piccoli e sullo sviluppo delle infrastrutture.

Sono decine le opere programmate dai sindaci sui territori che sono finite nel limbo dei definanziamenti decisi Fitto. Mentre l’emblema in materia infrastrutturale è il definanziamento della tratta ferroviaria Palermo-Catania come avvenuto pure per la linea Roma-Pescara. Certo, il ministro e vicepremier Salvini, ha garantito che i cantieri andranno avanti con risorse reperite su altri capitoli. Sicuramente è sfumato il sogno di realizzarle entro il 2026 seguendo il cronoprogramma del Piano.

Un’altra vicenda esemplare è quella del tecnopolo di Taranto, il progetto per istituire un centro di eccellenza della ricerca in una città simbolo del sud, ricordata spesso solo per l’Ilva. Il dossier è fermo, con responsabilità estese ai precedenti esecutivo. Ma con Meloni a palazzo Chigi non si è sbloccato, nonostante nel governo ci sia Fitto, che in Puglia ha la sua terra d’elezione.

Decreto Fitto

Un collage di questioni che il decreto Sud non sana. Il provvedimento, secondo la bozza approdata nel pre Consiglio, si limita a tamponare alcune emergenze, stanziando 30 milioni di euro per «un piano straordinario di interventi infrastrutturali o di riqualificazione» nel comune di Caivano, recentemente visitato dalla premier dopo la violenza sessuale compiute su due ragazze.

Altri 45 milioni di euro sono messi in conto per Lampedusa e Linosa con l’intento di fronteggiare «la grave situazione socio-economica, determinatasi a seguito dell'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dai paesi del Mediterraneo». Una sorta di ristoro per l’arrivo dei migranti. Il resto è un pannicello caldo. «Al netto del testo definitivo del decreto Sud, emerge comunque accentramento da parte del governo», osserva Sarracino. Il potere viene particolarmente concentrato nelle mani del solito Fitto, tanto che alla Camera c’è chi maliziosamente definisce il testo un «decreto Fitto».

Nella bozza anche lo stanziamento di 572 milioni di euro per l’assunzione complessiva di 2.200 lavoratori da destinare alle regioni meridionali. Un’operazione compiuta con la regia del dipartimento del Sud, quello guidato da Fitto appunto, che a sua volta avrebbe beneficiato per sé del rafforzamento dell’organico di 71 unità. È stata la norma più divisiva, oggetto di un confronto tra ministri. Ma nelle mani di Fitto è destinata a finire la gestione delle risorse dei Fsc, in linea con quanto già visto con il Pnrr.

Al ministro sarà affidata poi la guida della cabina di regia pensata per lo sviluppo delle aree interne. Il vero fulcro del provvedimento è la realizzazione della zona economica speciale unica, che accorpa le attuali otto Zes istituite. Un accentramento che vanifica la logica stessa di questo strumento: la semplificazione burocratica. Con un unico ufficio preposto alla valutazione delle richieste si può verificare l’effetto imbuto. Poco importa: a palazzo Chigi interessa di più la narrazione sul Sud.

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