Mentre il dibattito pubblico sul cosiddetto “merito” finalmente scopre che prima del merito vengono gli infiniti privilegi sociali ed economici che penalizzano pesantemente chi a quei privilegi non può avere accesso per casta, censo e reddito vorrei approfondire altre questioni legate a quanto questo merito sia necessario per le carriere politiche dal basso.

Siccome ho una certa predilezione per l’analisi delle (poche) vittorie invece che passare il tempo a sparare sulla croce rosé del Pd, uscito quasi afono dalla batosta elettorale, vi racconto due storie che sul merito concreto hanno qualcosa da dire.

Budrio

A Budrio, in provincia di Bologna, una giovane sindaca del Pd locale, Debora Badiali, 31 anni, ha vinto pochi mesi fa le comunali al primo turno dopo che nel 2017 il centrosinistra venne battuto malamente al ballottaggio nonostante il buon lavoro del primo cittadino uscente. La vittoria netta di Badiali è stata per certi versi sorprendente: è una donna giovane, con un percorso locale, con un programma costruito sul territorio, battuto palmo a palmo tra campagna e frazioni durante una sfida elettorale volutamente partita da lontano, cercando di mediare tra le varie aspettative di un luogo con quasi 20mila abitanti.

Ho seguito con curiosità la riconquista del comune da parte di Badiali, la quale per mesi ha fatto le cose che tutti dicono che il Pd debba fare e che, incredibilmente, una volta fatte si è poi scoperto che hanno perfino funzionato.

Donna. Giovane. Di sinistra, definizione che reclama per sé stessa senza altre declinazioni. Di sé dice che «sono la rappresentante di una leadership plurale, non di una scelta verticistica, non avevo nel mio destino naturale fare la sindaca a trent’anni, se lo sono diventata è stato perché una comunità ha deciso di farsi rappresentare da me, non sono stata io a decidere di voler rappresentare la comunità cercando solo dopo i voti per farlo». Ha vinto contro uomini col doppio dei suoi anni e dal piglio maggiormente patriarcale.

Santarcangelo Romagna

Ancora più interessante, perché più lunga, la storia di Alice Parma, amatissima sindaca di Santarcangelo di Romagna, a due passi da Rimini. Comune vicino al mare a forte vocazione turistico/culturale e una solida tradizione industriale e di cui è sindaca dal 2014, quando aveva 26 anni (!) ed era già da tempo la segretaria del circolo Pd del paese romagnolo mentre il renzismo era un universo (ai tempi) in espansione.

Fu eletta dopo un difficile commissariamento di un anno dell’amministrazione per vicende di maggioranze saltate e poi è stata brillantemente riconfermata al secondo mandato, sempre al primo turno. Io non so se queste due sindache si siano mai molto preoccupate delle correnti e dei loro deliri precongressuali, congressuali e conciliari che tanto appassionano i giornali come questo, ma qualcosa mi dice che forse avrebbero più cose da dire a quelle assise di tanti reperti impolverati che imperversano le nostre temibili, noiose e rissosissime tribune televisive serali.

A Santarcangelo di Romagna il giorno che Alice Parma è stata riconfermata sindaca al primo turno la Lega di Salvini prese una valanga di voti alle Europee, voti che negli stessi seggi son poi passati da una scheda all’altra alla sindaca uscente, appartenente a un campo decisamente opposto sia per valori che per storia e programmi.

Il riminese è un territorio diverso dalle abitudini emiliano-romagnole standard: turismo di massa, esigenze commerciali e elettorato molto sensibile ai temi balneari, come è ovvio che sia dove gli operatori balneari sono, appunto, tantissimi, eppure il sindaco di Rimini è del Pd pure lui e pure lui eletto di recente, precisamente si tratta del figlio di un commerciante di tappeti iraniano: Jamil Sadegholvaad. Sono strani i romagnoli, ma oramai sono diventati strani, parecchio, anche gli elettori. Tocca abituarsi.

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