Secondo Giorgia Meloni, gli slogan e i cori contro Eugenia Roccella al Salone del libro di Torino sarebbero «fuori da ogni logica democratica». Per la ministra della Famiglia, della natalità e delle pari Opportunità, che a differenza della presidente del Consiglio conosce le forme della partecipazione contestataria, il «dolore» è invece causato da «donne che impediscono ad altre donne di parlare». Nel momento in cui è salita sul palco per presentare il suo libro, sono state soprattutto ragazze, attiviste di Non una di meno ed Extinction rebellion, a levare la voce contro di lei.

L’episodio è significativo sotto tre rispetti. Innanzitutto, per ciò che rivela del rapporto tra il governo Meloni e le manifestazioni di dissenso. Una destra dai tratti spiccatamente identitari, che avanza una visione di parte, misure orientate a dividere l’opinione pubblica, a imporre il peso della maggioranza con scarsa o nulla disponibilità al compromesso con le opposizioni, può davvero sorprendersi di incontrare pubbliche contestazioni?

Il problema è che la refrattarietà del governo alle richieste della stampa e dell’opinione pubblica a dar conto del suo operato, insieme a un dibattito politico anestetizzato nelle forme dei talk show e degli scambi di tweet, hanno reso sempre più inattuale, sorprendente, e quindi incomprensibile il faccia a faccia con le proteste collettive.

LAPRESSE

Tuttavia, se anziché il dito si guardasse la luna, non sarebbe difficile vedere quante ragioni sono dalla parte di chi grida la sua rabbia. Ci sono i servizi per l’interruzione di gravidanza ridotti allo stremo, di fronte a cui il governo chiude gli occhi parlando di un «diritto a non abortire»; ci sono genitori non biologici, in famiglie omogenitoriali, il cui nome viene cancellato dagli atti di nascita dei figli; ci sono giovani a cui un «futuro più vivibile» come chiedono le contestatrici viene sottratto. 

La risposta di Roccella è allora il secondo aspetto significativo della vicenda. Sabato la ministra, particolarmente abile nell’appropriarsi di temi e linguaggi femministi, ha provato a rovesciare il tavolo chiamando le attiviste a unirsi alla battaglia contro l’“utero in affitto”, che però – palesemente – è impiegata dalla destra come una copertura per il rifiuto di riconoscere le famiglie “arcobaleno”. Ha inoltre giocato la carta del dialogo tra donne in quanto donne, come se le donne tra loro non potessero confliggere, anche vivacemente. E come se l’accesso delle donne a ruoli di potere non cambiasse interamente la loro posizione e responsabilità.

A Eugenia Roccella, come a Giorgia Meloni e ai membri del suo governo, non mancano le piattaforme per far sentire la propria voce. Molto più difficile, in questo presente, è far arrivare loro la voce del dissenso.

E questo è l’ultimo punto di interesse. La percezione di un risveglio di forme di contestazione giovanile radicale. È tempo che la politica, a destra come a sinistra, ricominci a farci i conti.

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