Il primo obiettivo è stato centrato con il raggiungimento delle oltre 60mila firme, in pieno agosto, a fronte delle 36mila necessarie. Per la sinistra radicale e post comunista di Unione popolare (Up), guidata dall’ex sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, c’è ora davanti la scalata più difficile: quella del 3 per cento da superare alle elezioni. Le decine di migliaia di sottoscrizioni devono tramutarsi in almeno un milione di voti o poco meno. Perché un fatto è certo: bisogna mettere piede in parlamento per provare a seguire il modello di riferimento, quello francese della Nuova unione popolare ecologica e sociale, capeggiata da Jean-Luc Mélenchon.

Fiducia oltre i sondaggi 

25/08/2022 Milano. P.za Selinunte. Incontro di Luigi de Magistris con le cittadine e i cittadini per apertura campagna elettorale milanese del portavoce di Unione Popolare, candidato alla Camera nel proporzionale.

Al di là delle aspirazioni, la base numerica di partenza non è incoraggiante: molti istituti di sondaggi inseriscono Up alla voce “altri partiti”. Nel migliore dei casi, come un recente rilevamento di Termometro politico, il dato si attesta all’1,5 per cento. Ancora peggio, invece, secondo Bidimedia: l’orientamento di voto per la lista è sotto l’un per cento, meno di quanto ottenuto da Potere al popolo nel 2018. In entrambi i casi, comunque, la soglia di sbarramento è lontana.

Ma la sfida non spaventa i promotori della lista dopo il successo della raccolta firme. L’ottimismo è alimentato dalla mobilitazione per le firme, inattesa anche da chi l’ha avviata nei primi giorni di agosto. Invece, in poche settimane, da Agrigento a Rovigo sono stati allestiti oltre mille banchetti.

L’impresa è stata possibile grazie alla rete di attivisti di circa ottomila persone che si è messa in moto, coinvolgendo vecchi militanti della sinistra radicale e giovani insoddisfatti dall’attuale proposta politica.

Rifondazione comunista, tra tutti i componenti dell’alleanza, è l’unica che ha potuto fornire come dotazione la struttura di partito, che comunque conta su sei dipendenti, utili alla causa per la loro esperienza con i passaggi burocratici, compresi quelli sul deposito delle liste.

Le risorse a disposizione sono limitate, dato che il Prc non beneficerà quest’anno nemmeno più del 2 per mille. Anche se nell’ultimo bilancio, tra tesseramenti e il finanziamento pubblico, relativo al 2 per mille appunto, nelle casse del partito sono affluiti oltre 600mila euro. Fondi che permetteranno dei minimi rimborsi, ma che soprattutto saranno preziosi per la campagna elettorale.

Scissione e reunion

L’ondata di firme ha dato a de Magistris la chance di avere un ruolo alle elezioni. Alle sue spalle, tuttavia, ci sono varie forze politiche, in primis Rifondazione comunista (Prc) e Potere al popolo (Pap) che hanno remato nella stessa direzione. I due soggetti si ritrovano ora uniti alle Politiche, cinque anni dopo l’esperienza del 2018, sotto il simbolo di Pap, quando la leader era Viola Carofalo.

Di mezzo c’è stata una rottura, l’ennesima scissione a sinistra, maturata pochi mesi dopo il voto. La spaccatura era nata su come proseguire il cammino. Così, il Prc alle ultime Europee era alleato con Sinistra italiana di Nicola Fratoianni, ottenendo un deludente 1,8 per cento; Pap ha addirittura preferito non correre in quell’occasione.

Il riavvicinamento è avvenuto gradualmente nei mesi, ma c’è stata un’accelerazione in prossimità delle elezioni. I primi contatti risalgono all’inizio estate, quando la prospettiva del voto era quella del 2023, con de Magistris che aveva dato la disponibilità a mettersi al comando di un’iniziativa unitaria. Poi la crisi di governo ha accelerato tutto.

Quindi il Prc, guidato da Maurizio Acerbo, e Pap, che ha come due portavoce Marta Collot e Giuliano Granato, sono tornati insieme. Il mosaico di Unione popolare è completato dal movimento Dema, fondato dall’ex sindaco di Napoli, dalla componente Manifesta, nata alla camera nel febbraio scorso, oltre a pezzi del mondo dell’associazionismo e del sindacato di base. La lista ha abbandonato i riferimenti tradizionali.

Nel simbolo il colore rosso è molto sfumato ed è stata deposta anche la falce e il martello. Il logo ha uno sfondo in prevalenza viola, i colori della bandiera della pace che lo attraversano e il nome del leader, de Magistris, che campeggia in bella mostra.

Pace e no alla Nato

Il programma, invece, ricalca l’approccio tradizionale, duro e puro, della sinistra radicale. Rispetto a quanto propongono gli altri partiti, è dedicato un lungo capitolo alla pace, che si traduce nel «no alla guerra» e con la richiesta dello «stop immediato dell’invio di armi a tutti paesi in guerra e ritiro dei soldati all’estero». Ucraina compresa.

Ancora in più in generale c’è la prospettiva di «superamento» della Nato. «Siamo l’unica forza politica che rifiuta l'economia della guerra e quindi rifiuta l'invio delle armi al popolo invaso», dice Filippo Barbera, professore di sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Torino, che ha partecipato ai tavoli per la stesura del programma, diventando una figura molto ascoltata all’interno del progetto politico.

Sull’Ucraina, Barbera aggiunge: «Una soluzione negoziale ha dei costi per gli aggrediti». Ma non c’è solo il pacifismo per Up. Sull’economia e sul lavoro, i punti qualificanti sono vari: salario minimo legale, abolizione del Jobs act, ed età pensionabile a 60 anni o dopo 35 anni di contributi.

«Soprattutto», dice Barbera, «non abbiamo paura di usare la parola patrimoniale, pensando a un prelievo sulle rendite superiori a 300mila euro, escludendo la casa». Le risorse servirebbero a realizzare il piano di assunzione di un milione di persone, tra scuola, sanità e rafforzamento dell’ispettorato del lavoro.

E poi ancora è messa nero su bianco la lotta alle «disuguaglianze territoriali», intese «non solo come nord e sud, ma anche come centro e periferia», includendo nella battaglia «i temi ambientali», conclude il docente.

Candidati in prima linea

Il programma di de Magistris si sostanzia quindi con i nomi di chi ambisce a un seggio in parlamento. Ci sono i profili più rilevanti dei partiti che hanno contribuito alla nascita di Unione popolare, oltre al leader candidato in varie circoscrizioni di Lombardia, Campania e Calabria. In lista compaiono il segretario di Rifondazione comunista Acerbo (Abruzzo e Toscana), l’ex ministro del governo Prodi, Paolo Ferrero, capolista alla camera nel Lazio, e l’ex eurodeputata Eleonora Forenza che corre in Calabria.

Per Potere al popolo la portavoce Collot è presente in Emilia-Romagna, provando a sfruttare la notorietà mediatica ottenuta con la presenza nei talk show e ripartendo dal 2,5 per cento conseguito alle comunali di Bologna, e il co-leader Giuliano Granato, candidato in Campania, sua regione d’elezione dove ha corso le regionali del 2020, racimolando l’1,2 per cento.

Ma con Up sono candidate anche tre deputate uscenti, tutte fuoriuscite dal M5s. La più nota è Piera Aiello, diventata collaboratrice di giustizia dopo l’assassinio del marito Nicola Atria, figlio del boss Vito Atria Le altre due sono Simona Suriana e Yana Chiara Ehm, promotrici della componente alla camera Manifesta.

L’anima ecologista è incarnata da Domenico Finiguerra, candidato con i Verdi alle Europee del 2019.
Ci sono poi vari profili della società civile. Tra questi figura il diplomatico Enrico Calamai, definito lo Schindler di Buenos Aires per aver salvato più di trecento persone dal regime militare argentino.

Uno dei promotori della lista, sceso direttamente in campo per un posto a Montecitorio, è lo storico Piero Bevilacqua, così come il collega Raul Mordenti, docente all’Università di Roma Tor Vergata, da anni vicino al Prc. Dal mondo del volontariato proviene invece Sara Zuffardi, assolta nel processo Baobab, in cui era accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver pagato un biglietto del treno, da Roma a Ventimiglia, a nove richiedenti asilo diretti.
Una galassia ampia, insomma, che punta ad avviare, dal 26 settembre, un processo costituente unitario per mettere insieme i partiti fondatori della lista ad altre forze sociali e al mondo dell’associazionismo. E fondare un partito di sinistra radicale. Con una consapevolezza: ogni prospettiva è legata al risultato elettorale. Una percentuale lontana dalla soglia del tre per cento farebbe venir meno gli entusiasmi.

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