Con un colpo di penna sparisce un diritto per una parte dei lavoratori dello Stato. Succede nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), il braccio del Ministero della Giustizia che gestisce carceri e personale.

Con una circolare interna datata 7 ottobre, anticipata dal Fatto Quotidiano, il DAP ha stabilito che i permessi e i congedi previsti dalla Legge 104/1992 non si applicano ai lavoratori uniti civilmente, cioè alle coppie dello stesso sesso.

Una decisione che, nei fatti, nega i permessi retribuiti per assistere il partner o i suoi familiari, diritti riconosciuti da anni alle coppie sposate. La Fp Cgil parla apertamente di discriminazione, mentre all’interno dello stesso ministero trapela imbarazzo per una lettura giuridica che sembra riportare indietro di quasi dieci anni la legislazione sui diritti civili.

Rapporto di “affinità”

Il documento visionato da Domani è firmato dalla Direzione generale del personale e risponde ai “quesiti pervenuti” da diverse direzioni penitenziarie. Una risposta amara: a giudizio dell’amministrazione, la legge sulle unioni civili (n.76 del 2016) non crea «un rapporto di affinità» tra una parte dell’unione e i parenti dell’altra.

Il passaggio chiave è questo: «L’art. 78 del codice civile, che qualifica il rapporto di affinità, non risulta richiamato dalla legge 76/2016. Di conseguenza, non si costituisce un rapporto di affinità tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altra e, conseguentemente, è preclusa al congiunto dell’altra parte l’estensione del beneficio dei permessi di cui all’art.33 della legge 104/1992». Tradotto: per il Dap, solo le persone eterosessuali sposate hanno diritto ai permessi per assistere i parenti dell’altro. Le coppie unite civilmente no, perché il legislatore del 2016 non ha richiamato espressamente l’articolo 78 del codice civile sull’affinità. Un’interpretazione “formalistica”, giustificata con alcuni richiami alla giustizia amministrativa ma senza decisioni definitive sul punto.

La circolare Inps

Tutto nasce dal testo del 2016 che istituisce le unioni civili. Se la Legge 104/1992 riconosce fino a tre giorni di permesso retribuito al mese o due anni di congedo per assistere familiari con disabilità grave. La Legge 76/2016, cosiddetta legge Cirinnà, prevede al comma 20 che «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e ai coniugi si applicano anche alle parti dell’unione civile», salvo gli articoli del codice civile «non richiamati espressamente».

Da qui nasce la disputa: per il Dap, l’articolo 78 non è richiamato, dunque niente affinità e quindi niente estensione dei permessi ai parenti del partner. Ma nel 2022, l’Inps con la Circolare 36, ha chiarito che i permessi spettano anche alle persone unite civilmente equiparando i due istituti.

La differenza? La circolare Inps riguarda i lavoratori assicurati Inps, cioè il settore privato e parte del pubblico “contrattualizzato”, mentre il personale penitenziario dipende da un ordinamento pubblico speciale. Il Dap si è quindi appellato a una distinzione tecnica, formalmente corretta, ma sostanzialmente in contrasto con il principio di parità di trattamento ormai consolidato.

Lavoratori e lavoratrici con meno tutele

Per capire cosa significa, basta guardare alla vita quotidiana. Elena, agente di polizia penitenziaria è unita civilmente con Sara, malata grave. Fino a settembre aveva tre giorni al mese di permesso retribuito per seguirla nelle terapie. Da ottobre, la risposta è cambiata: «Non applicabile alle unioni civili». Ora deve prendere ferie o restare a casa senza stipendio. Eppure l’orientamento più recente (giurisprudenza, dottrina e contratti collettivi) va nella direzione opposta: la circolare Inps 36/2022 interpreta in senso estensivo i permessi e i congedi; i contratti collettivi del pubblico impiego prevedono che i benefici «si applicano senza distinzione di sesso o condizione personale». Quindi il Dap si aggrappa a un vuoto formale per limitare un diritto che lo spirito della legge e la prassi amministrativa hanno già colmato.

La Fp Cgil ha chiesto un incontro urgente con il capo del Dap. Il vuoto di risposte intanto crea un precedente pericoloso: se l’impostazione del Dap passasse, qualsiasi amministrazione pubblica potrebbe escludere le unioni civili da benefici già riconosciuti. In attesa di un chiarimento dal ministero della Giustizia, resta un paradosso: nelle carceri italiane, chi lavora per far rispettare la legge si vede oggi negare un diritto previsto dalla legge stessa.

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