Dai sorrisi in tribuna d’onore, la festa della Repubblica si direbbe meglio intonata allo spirito del governo Meloni. Certamente più del 25 aprile, senza il quale però non ci sarebbe un 2 giugno. Giornata di parate civili e militari – ad aprire la sfilata lungo via dei Fori imperiali sono stati i sindaci in fascia tricolore – le celebrazioni sono state occasione del discorso solenne del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel celebrare l’unità del paese ha come sempre voluto aggiungere quello che è suonato come un monito, soprattutto al governo.

Nel saluto agli italiani, il passaggio più significativo è stato quello rivolto ai connazionali, soprattutto giovani, che lavorano, studiano e vivono all’estero. Una scelta che «non dovrebbe più essere obbligata ma libera», ha detto il presidente, auspicando un cambio di paradigma: «Si tratta di passare dalla fuga dei cervelli, alla circolazione dei talenti».

Due messaggi in uno: da un lato il riferimento al valore fondamentale della libera circolazione dei saperi, soprattutto in un’Unione europea sempre più in crisi di identità, dall’altro la grande questione del lavoro, soprattutto giovanile. Un tema sempre meno sulla bocca della maggioranza di governo, ma anche dell’opposizione.

Secondo gli ultimi dati del rapporto “Italiani nel mondo” della fondazione Migrantes, il flusso verso l’estero è in continuo aumento: dal 2006 al 2022 è passato da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni. Si tratta soprattutto di giovani: il 36,3 per cento – 1,2 milioni di persone - degli iscritti all’Aire al 1 gennaio 2022 è costituito da minori e da persone tra i 18 e i 34 anni. È in corso però anche una diaspora silenziosa di pensionati: dal 2019 al 2021, l’incremento di quelle pagate all’estero è stato del 45,1 per cento. Il numero di italiani all’estero, 5,8 milioni, supera quello degli stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale (5,2 milioni).

Il problema lavoro

Proprio durante la presentazione di quel rapporto, qualche mese fa, Mattarella aveva chiesto una riflessione sui giovani che lasciano l’Italia, «con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale».

Il tema è rimosso dal dibattito pubblico. Sulla questione, ’ultimo intervento del governo risale al 1 maggio, durante il consiglio dei ministri convocato nel giorno della festa del lavoro. Oltre al leggero taglio del cuneo fiscale e a incentivi per le assunzioni dei giovani, il decreto conteneva la prima vera promessa rispettata dal governo dopo la campagna elettorale, la stretta sul reddito di cittadinanza, con la revisione dei requisiti e degli importi in vista della cancellazione fissata per l’inizio del 2024.

Eppure, un impulso al governo per intervenire sul mercato del lavoro è arrivato sia dal Consiglio Ue, che ha approvato una direttiva con cui stabilisce le nuove regole sul salario minimo per i lavoratori, sia dalla Banca d’Italia, il giorno prima della parata ai Fori. Presentando le annuali considerazioni finali della banca centrale, il governatore Ignazio Visco ha indicato proprio nell’introduzione di un «salario minimo definito» una «risposta a non trascurabili esigenze di giustizia sociale». Visco ha ricordato che il 20 per cento dei giovani italiani si trova ancora in condizioni di impiego a tempo determinato dopo cinque anni di lavoro. E senza stipendio o un contratto adeguato a sostenere il costo della vita, l’emigrazione all’estero diventa una tentazione, quando non una necessità. Secondo l’Inps, sono 4 milioni e mezzo le lavoratrici e i lavoratori che guadagnano sotto i 1.000 euro lordi al mese.

A loro pensava ieri mattina Mattarella, nel primo 2 giugno celebrato dal governo di destra. Un governo che contrasta la posizione di Visco. Giorgia Meloni ha definito il salario minimo «uno specchietto per le allodole», vista la presenza di una fitta contrattazione collettiva, che «rischierebbe di creare, per molti lavoratori, condizioni peggiori di quelle che hanno oggi». L’ha detto in un question time alla Camera dove Elly Schlein, al primo intervento da segretaria del Pd, le chiedeva conto della sua contrarietà. Secondo la ricetta Meloni, per alzare il salario dei lavoratori la vera strada sarebbe «abbassare la tassazione sul lavoro». Più facile a dirsi che a farsi: secondo le simulazioni per il Sole 24 ore, il decreto Lavoro di maggio si tradurrà in un risparmio massimo di 96 euro al mese, per i redditi lordi fino a 25mila euro, ma solo fino a dicembre 2023. Poi chissà.

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