Ce l’ha fatta ancora una volta, la giovane inarrestabile Anna Ascani. Forte delle sue battaglie vittoriose in difesa della scuole private, l’ex sottosegretaria e poi viceministra del governo Conte due è riuscita a mantenere le posizioni anche nel governo Draghi. Stavolta passa al ministero dello sviluppo economico. Non ha competenze specifiche, ma è laureata in filosofia. E la filosofia della sua nomina è chiara, nella topografia del Pd e nelle fantasie del Nazareno.

Sconfitta con ricompensa

A nome di Matteo Renzi nel 2019 Ascani è la candidata in tandem di Roberto Giachetti alle primarie. Nel caso, diciamo non probabile, di vittoria farà la presidente del partito. Ma fra gli iscritti Giachetti prende solo l’11,3 per cento, piazzandosi al terzo posto dietro Zingaretti (che poi vincerà) e Maurizio Martina (36,10, che a gennaio scorso si è dimesso da parlamentare per passare direttamente al prestigioso incarico di vicedirettore della Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura). L’affermazione di Giachetti non è smagliante, ma basta perché dopo la vittoria Zingaretti la nomini vicepresidente del partito, nella speranza di fermare la scissione dei renziani della quale, già in quella primavera, si parla con insistenza.

La scissione dei renziani non si ferma, almeno non per i suoi buoni uffici: arriverà a settembre a pochi giorni dalla nascita del governo Conte due. Ma Anna Ascani – che nasce lettiana, poi simpatizza con i ragazzi di Occupy Pd, poi diventa bersaniana e infine era approdata a Renzi - compie ancora una volta nella vita l’eroico gesto di non seguire i compagni di corrente, che invece si avventurano appresso al leader in una scommessa a forte rischio (che infatti si attesta da subito sul due-tre per cento).

Dalla scissione all’Istruzione

Per trattenerla basta un nuovo premio: la nomina a sottosegretaria all’istruzione, il ministero guidato dal pentastellato Lorenzo Fioramonti. Fioramonti si dimette da ministro alla prima finanziaria, al suo posto arriva la contianissima Lucia Azzolina. Ascani prende forza, diventa viceministro. È stata capodipartimento cultura del Pd all’epoca della segreteria di Matteo Renzi, è stata una fan sfegatata della “buona scuola”, l’indimenticabile riforma che fece imbufalire i prof. Ma è acqua passata: a questo giro si distingue per lo spalleggiamento senza se e senza ma di tutte le iniziative di Lucia Azzolina, dai banchi a rotelle al fallimentare concorso per precari, che alla fine solo la pandemia si incarica di sospendere. E dire che in quel ministero si combatte una battaglia politica. Anche forte. Nel Pd poi, il mandato sarebbe quello di riallacciare i rapporti con gli insegnanti e con la comunità scolastica: dieci milioni di persone, forse la componente che più di tutti ha voltato le spalle ai dem durante il periodo renziano.

Scelte divisive

A viale Trastevere per esempio a dissentire dalle scelte della ministra c’è Patrizio Bianchi, grande esperto di istruzione, già rettore dell’università di Ferrara, ma anche vicinissimo al Pd: in Emilia-Romagna è stato assessore alla scuola sotto la presidenza di Vasco Errani e quella di Stefano Bonaccini. Bianchi è chiamato da Azzolina a coordinare la task force ministeriale durante la prima ondata della pandemia: obiettivo, organizzare la partenza del nuovo anno scolastico. L’esperto stila un documento, ma Azzolina non ne gradisce le proposte e lo seppellisce in un cassetto. Bianchi si defila evitando clamori.

Diventerà poi ministro con Draghi, che lo chiama per la sua universalmente nota competenza, malsopportata dal governo giallorosso. In questo frangente Ascani si tiene alla larga dalle polemiche. E dire che in quel ministero anche il Consiglio superiore dell’istruzione stile documenti apertamente in dissenso con le scelte della ministra. Anche il suo collega sottosegretario Peppe De Cristoforo, in forza a Leu, combatte la battaglia contro il contestato concorsone per i precari. Sconfitto, messo da parte dalla ministra, alla fine se ne va a fare il sottosegretario del ministro dell’Università Gaetano Manfredi.

Ascani diverge dalla ‘linea Azzolina’ solo sulla richiesta di ristori alle scuole paritarie. Ma è un dissenso concordato: la ministra la lascia fare sulla base di un principio d’oro della furbizia politica: reiezione dottrinaria (i Cinque stelle strepitano contro i soldi alle private in nome dell’art.33 della Costituzione, quello del ‘senza oneri per lo stato’) ma assimilazione pratica: meglio lasciar passare, fingendo disappunto, una proposta di Forza Italia. Le scuole private del resto sono al collasso, la loro chiusura farebbe riversare i loro studenti in quelle pubbliche, già in difficoltà per la pandemia. Sarebbe un altro guaio inaffrontabile per la ministra. E poi, anzi soprattutto, al governo Conte serve come il pane un atteggiamento non ostile del partito di Berlusconi: in questo momento gli aiutini azzurri, al senato, sono spesso decisivi.

La leadership femminile

Quando il governo Conte cade, il Pd entra in una fase convulsa. La pattuglia dei tre ministri indicati e scelti dal nuovo premier Draghi – Franceschini, Orlando, Guerrini, tre capicorrente, tre uomini – scatena le proteste di molte donne democratiche. Alcune delle quali chiedono il ‘riequilibrio’ di genere nelle nomine di sottogoverno. Ascani vede le cose più in grande: «Bisogna lavorare a una leadership femminile», altrimenti non cambia nulla. Nel frattempo però non disdegna di consolidarsi al suo posto. Alla fine su sei, l’unico uomo è l’ex ministro Enzo Amendola, resta agli affari esteri di cui è ministro uscente, in quota Orlando.

Cinque donne: Alessandra Sartore, assessora della programmazione economica della Regione Lazio, in quota Zingaretti, va al Mef; la senatrice Assuntela Messina all'Innovazione tecnologica e transizione digitale, in quota Emiliano (ma con il placet di Zingaretti). Marina Sereni resta viceministra degli Esteri, quota Franceschini; Simona Malpezzi confermata ai Rapporti con il Parlamento, quota Base riformista. E la nostra Anna Ascani, in quota alla corrente Energia democratica, e cioè in quota sé stessa, ancora una volta premiata per essere una renziana che prima non se n’è andata con Renzi, ed ora non si unisce al coro degli ex renziani rimasti nel Pd che attaccano Zingaretti. E non si capisce davvero perché dovrebbe, visto che restare il Pd zingarettiano, senza sforzi e senza seguito, le sta portando tanto bene.

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