Come una scossa, il caos intorno alle candidature per le prossime regionali sta terremotando il centrodestra anche nei territori in cui la coalizione non era mai stata messa in discussione. È successo martedì in Veneto, territorio che ha proceduto negli ultimi quattordici anni a forza di maggioranze bulgare guidate da Luca Zaia, dove si voterà nel 2025 ma le fibrillazioni già sono arrivate.

Proprio al “doge” è mancata la terra sotto i piedi, con la maggioranza che si è spaccata in Consiglio regionale, facendo saltare la legge sul fine vita da lui fortemente voluta. La legge – che doveva recepire gli orientamenti della Consulta, era stata proposta dall’associazione Coscioni e sarebbe stata la prima in Italia – è tornata in commissione e, prima in discussione e poi nei voti, si è cristallizzata la spaccatura a destra: Fratelli d’Italia e Forza Italia contrari insieme a una parte della Lega, il presidente Zaia e un’altra parte della Lega favorevoli, insieme alle opposizioni.

«Questo progetto di legge introduce dei tempi e il ruolo della sanità, è immorale che un tema così profondo sia gestito con una sentenza», aveva detto Zaia, che è finito però in minoranza ma soprattutto ha incassato una batosta alla sua leadership. Simbolicamente, forse, l’inizio della scalata alla regione da parte di FdI.

La reazione di Salvini

Il segretario Matteo Salvini, preso dal Consiglio dei ministri e da un tavolo sulla casa ma soprattutto dallo scontro sempre più logorante sulle regionali, è rimasto in silenzio tutto il pomeriggio di martedì. 

Mercoledì mattina, invece, è intervenuto ad Agorà, su Rai 3, mandando un messaggio chiaro a Zaia: «La mia posizione è assolutamente chiara: la vita va tutelata dalla culla alla fine, bisogna garantire tutte le cure necessarie alle future mamme e a coloro che sono in difficoltà alla fine dei loro giorni però senza arrivare ai livelli olandesi. Il Consiglio regionale veneto ha votato, hanno vinto i no, dal mio punto di vista avrei votato anch'io in quel senso lì».

Ddl Autonomia

Eppure, la giornata era cominciata sotto i migliori auspici per il Veneto autonomista, con l’approdo in aula al Senato della discussione sul ddl Autonomia, l’opera sudatissima del ministro Roberto Calderoli. Il passaggio d’aula arriva dopo otto mesi di lavoro in commissione e ora l’obiettivo della Lega è quello di procedere a tappe forzate per arrivare a un primo via libera d’aula prima delle europee, per poterlo capitalizzare in campagna elettorale.

Pazienza se, senza la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni su cui è al lavoro una commissione, il ddl Autonomia rischi di rimanere un guscio vuoto. Dunque più un punto politico necessario per tenere a bada i territori del nord che un risultato concreto.

L’iter è appena iniziato e le opposizioni hanno già annunciato le barricate con 400 emendamenti, ma due proposte di modifica sono state avanzate anche da FdI, sulla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni e sul trasferimento delle funzioni, con una clausola di salvaguardia per le regioni che non chiederanno l’autonomia.

Cosa c’è da decidere

Su questo lo stallo continua, mentre la clessidra dei giorni per presentare una candidatura unitaria del centrodestra in Sardegna si sta consumando. Entro la settimana andrà presa una decisione. Ed è ormai chiaro che FdI intende andare avanti con il suo candidato, Paolo Truzzu.

La Lega deve decidere se rompere l’alleanza e sostenere l’uscente Christian Solinas, oppure accordarsi per una contropartita. In ogni caso, l’equilibrio tra alleati è rotto e, caduto il principio della ricandidatura degli uscenti, inizieranno due anni di veleni: tutti i nomi verranno messi in discussione (il prossimo sarà Vito Bardi in Basilicata) e FdI, per bocca del ministro Francesco Lollobrigida, ha fatto capire che intende allargarsi, sulla base dei nuovi rapporti di forza elettorale. Tutti problemi per cui il ddl Autonomia è una magra consolazione.

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