Nel Veneto che Luca Zaia guida senza avversari da 13 anni lo chiamano il «Doge», come i capi di stato della repubblica di Venezia, e lui ne incarna l’orgoglio regionale anche con la parlata: il dialetto, perchè «in provincia i xe sete su diese che no parla italian», in provincia sono sette su dieci che non parlano italiano. In vista del 2024, però, Zaia dovrà iniziare ad affinare il suo inglese.

Il governatore, infatti, è pronto ad essere l’astro nascente del centrodestra in Europa. Come candidato nel collegio Nord-est della Lega, su cui dovrebbe travasare il consenso bulgaro ottenuto con la sua lista personale alle scorse regionali. O – come forse lui preferirebbe – in veste di nuovo commissario europeo: un salto politico più complicato, ma a renderlo verosimile ci sono anche i buoni rapporti personali che ha tenuto con la premier Giorgia Meloni.

Del resto, al segretario della Lega Matteo Salvini fa più comodo vederlo proiettato in Europa: nel 2025 scadrà il suo terzo e ultimo mandato alla guida della regione Veneto e l’altra strada per Zaia è quella di ambire ad un incarico a Roma, da dove potrebbe allungare la sua ombra sulla leadership del ministro dei Trasporti.

Zaia, infatti, è considerato il solo che potrebbe insidiare il primato di Salvini. Oppositore naturale seppur riluttante (ha sempre detto di non ambire alla guida del partito, il suo motto è: «una cosa per volta, e farla bene»), Zaia non si è mai schierato apertamente contro la deriva sovranista e cattolico-conservatrice imposta dal segretario ma nello stesso tempo ha mantenuto autonomia nelle sue scelte politiche.

Fedele ai princìpi della vecchia Lega Nord di Umberto Bossi, laica e autonomista, ma soprattutto forte del suo 75 per cento di consenso in regione, il governatore veneto ha portato avanti posizioni politiche in netto contrasto con quelle della Lega salviniana.

Diritti e autonomia

L’ultima presa di posizione – non urlata ma forte anche simbolicamente – ha riguardato il suicidio assistito. Il Veneto, infatti, è stata la prima regione italiana a dare applicazione a quanto previsto dalla sentenza Cappato della Corte costituzionale, fornendo a spese della Asl il farmaco letale e la strumentazione per assumerlo ad una donna di Treviso che aveva ottenuto il via libera dalla commissione e dai medici per accedere alla procedura del suicidio medicalmente assistito.

«Non si tratta di essere a favore o contro», ha detto Zaia a radio Cortina, «è doveroso rispettare le idee di tutti» e «le regole ci sono e in Veneto ci siamo limitati ad applicarle». Peccato che Salvini abbia sempre detto che «la vita è sacra» e di essere «contrario al suicidio di Stato imposto per legge», la maggioranza del consiglio regionale ha votato a favore di una mozione sul fine vita.

Il Veneto, però, è stato capofila anche su altri temi che hanno a che vedere con la libertà di scelta: il governatore, infatti, ha dato il via libera al Centro regionale per i disturbi dell’identità di genere definendolo «un fatto di civiltà, oltre che di legge». Negli anni scorsi, invece, aveva detto che «L'omofobia è una patologia punto e basta. Sono malati coloro che sono omofobi».

Se su diritti e laicità si è silenziosamente allontanato dall’ortodossia salviniana, sull’autonomia invece è stato una spina nel fianco costante per il suo segretario, impedendogli di dimenticare quale fosse la vera promessa della Lega delle origini. Anche ora, con il ddl Calderoli, Zaia non ha mai rinunciato a farsi sentire anche a Roma. Tanto da alzare i toni ben oltre quanto abbia mai fatto Salvini, parlando da dirigente politico più che da presidente di Regione: «Se non passa l’Autonomia viene meno anche la maggioranza».

Con queste posizioni, autonomiste sull’amministrazione e laiche sul piano dei diritti, Zaia ha creato l’amalgama politico che gli ha garantito il successo anche tra gli elettori moderati, un consenso del 75 per cento e il primo posto per gradimento tra i governatori. E pazienza se la Lega salviniana sembra un partito diverso dal suo.

 

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