«Se Zingaretti decide, quel posto è suo». Se si chiede del seggio che da oggi il neosindaco Roberto Gualtieri lascia libero a Montecitorio, la risposta è sempre questa. Che parli un potente dirigente romano o un deputato molto vicino al segretario. Che sia pronunciata come una premessa doverosa o come un’amara necessità. È scontato: se il presidente della regione Lazio vuole, le urne delle elezioni suppletive del collegio Roma 1 si apriranno solo per lui.

Giovedì Roberto Gualtieri viene proclamato sindaco. Alle 11 in Campidoglio si svolgerà lo scambio delle consegne con la sindaca uscente.  Di qui a poco la Giunta per le elezioni della Camera lo dichiarerà decaduto da deputato. Entro novanta giorni per legge dovrà essere indetto il voto delle suppletive. Quindi entro la fine di gennaio a Roma si rivota, in teoria. Il collegio è quello del centrissimo, quello dei rioni Monti, Colonna, Campo Marzio, poi anche quelli più radical alternativi come Esquilino, i serbatoio rossi di San Saba, Testaccio, Trastevere, e dalla parte opposta, a nord, Prati, Trionfale, Flaminio e Della Vittoria. Quasi tutto rosa e fiori per il centrosinistra, anche se proprio qui nel 1994 si consumò lo sfondamento epocale con la scioccante vittoria di Silvio Berlusconi sull’ex ministro Luigi Spaventa. Ma poi il fortino è tornato all’ovile. Qui nel marzo del 2018 è stato eletto Paolo Gentiloni con il 42 per cento; il quale, dopo essere stato nominato commissario europeo, nel marzo del 2020 lo ha lasciato in eredità a Roberto Gualtieri, all’epoca ministro del governo Conte. Gualtieri prende il 62 per cento, anche se non smuove i precordi: va a votare il 17 per cento degli elettori.

Il candidato numero uno a rimpiazzare Gualtieri ora è Zingaretti. Ma c’è qualche controindicazione: in primavera il presidente del Lazio ha rinunciato a correre da sindaco per timore che la sua giunta non reggesse ai ricatti dei neoassessori M5s. «Non possiamo rischiare di consegnare il Lazio alle destre», spiegò. La sua corsa da deputato significherebbe portare al voto la regione. Per la sua successione ci sono troppi nomi: quello dell’assessore alla sanità Alessio D’Amato, stimatissimo per la performance della regione durante la pandemia, ma visto come un corpo estraneo dalle parrocchie Pd, alle quali non appartiene (Pci da giovanissimo, poi Prc e Pdci e infine a fianco di Zingaretti); quello dell’attuale vicepresidente Daniele Leodori, area Franceschini, emergente; e quello che in questi giorni circola con insistenza, Enrico Gasbarra: già vicesindaco di Walter Veltroni nel 2001, poi presidente della provincia, deputato e eurodeputato. Amico fraterno di Goffredo Bettini, da qualche anno fa vita politicamente ritirata.

Zingaretti è interessato al collegio Roma 1. C’è chi lo descrive molto provato dalla Regione, e persino in fuga. Ma deciderebbe solo con l’ok di Enrico Letta. E poi c’è un problema di tempistica: l’elezione suppletiva potrebbe slittare, causa elezioni del Colle o pandemia. Varrebbe la pena traslocare per uno scampolo di legislatura?

Le alternative

Se non fosse Zingaretti, deciderebbe Enrico Letta. Non imponendo, come pure circola, Marco Meloni, suo braccio destro ed eminenza grigia del Nazareno. Ma una donna: in questo caso si fa il nome di Cecilia D’Elia, zingarettiana, portavoce della Conferenza delle democratiche.

C’è anche l’“opzione Agorà”: un profilo esterno, di quelli che si stanno avvicinando alla rete del nuovo Pd lettiano. Dall’ex sottosegretario Mario Giro, della comunità di Sant’Egidio, allo scrittore Gianrico Carofiglio, all’ex segretaria Cisl Annamaria Furlan.

L’altra gamba della “alleanza strutturale”, il Movimento 5 stelle, non ha ancora deciso come giocarsi la partita. L’interessamento al seggio da parte del leader Giuseppe Conte è stato più volte smentito dallo staff: certo, dopo il flop delle amministrative e con i gruppi parlamentari in piena protesta, farsi portare in parlamento dai voti Pd non sarebbe un figurone. L’appiattimento sul Pd fa imbestialire i gruppi parlamentari, meglio non forzare la mano.

Peraltro le suppletive non consentirebbero a Conte di entrare in tempo per gestire in prima persona la corsa al Quirinale. Eppure conoscere i gruppi più a fondo gli sarebbe utile per governare il nuovo corso del partito: in tanti durante la campagna elettorale hanno sofferto la scarsa considerazione, in particolare i parlamentari provenienti dai collegi al voto. I deputati, anche quelli più entusiasti del nuovo leader, non hanno gradito il tentativo di spodestare il capogruppo alla Camera Davide Crippa, e ora il tentato blitz rischia di compromettere la candidatura che Conte deciderà di spalleggiare, probabilmente quella dell’ex ministro Alfonso Bonafede. Che sabato scorso alla manifestazione dei sindacati si inchiavardato al fianco dell’ex premier tanto da confondersi con gli uomini della scorta.

Conte in parlamento vuole tornarci. Ma per meriti propri: vuole, forse deve, dimostrare di esser capace di vincere, magari in un collegio da strappare alle destre dalle parti di Volturara Appula. Come faceva ai bei tempi Massimo D’Alema il collegio di Gallipoli. A quel punto potrebbe governare un gruppo di parlamentari selezionati e depurati dagli «elementi problematici» che gli complicano la vita in queste settimane. Il candidato M5s per le suppletive insomma non sarà lui.

Circola un nome che pesa, anche di più. Quello dell’ex sindaca Virginia Raggi. Che sia di diritto nelle prossime liste per il parlamento non è un segreto. Anticipare di mezzo giro il suo approdo a Montecitorio è una prospettiva decisamente più interessante di un posto da consigliera comunale d’opposizione in Campidoglio. Sarebbe anche un modo per emanciparsi dal Movimento romano, che ripone sempre meno fiducia nella candidata sconfitta, come dimostra la scarsa presenza di deputati e senatori alla riunione organizzata la scorsa settimana dalla sindaca. Raggi ha dalla sua un corposo pacchetto di consensi degli attivisti: in tempi di magra, un capitale tutt’altro che trascurabile. Chi la conosce la descrive tentata di prendersi una rivincita sul Pd. E dopo il festone della vittoria di Gualtieri, di rovinargli almeno la festicciola dell’elezione suppletiva.

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