Il destino dell'amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica Alessandro Profumo non dipende dalla legge ma dai rapporti di forza tra i politici che esercitano un potere illimitato sulle aziende pubbliche. La sua vicenda, per come si sta dipanando in queste ore, è un vero trailer di quello che potrebbe avvenire subito dopo Natale con il numero uno dell'Eni Claudio Descalzi.

Giovedì scorso Profumo è stato condannato a sei anni di carcere per falso in bilancio. L'accusa è di aver nascosto nelle pieghe delle rappresentazioni contabili riferite al 2015 del Monte dei Paschi di Siena (di cui è stato presidente) i famigerati derivati Alexandria e Santorini, stipulati dal suo predecessore Giuseppe Mussari per occultare la dimensione autentica dei debiti della banca.

Nessuna norma impone a Profumo di dimettersi in seguito alla condanna in primo grado. Glielo avrebbe imposto la direttiva del 2013 di Fabrizio Saccomanni, allora ministro dell'Economia nel governo Letta, che prevedeva le dimissioni già in caso di rinvio a giudizio. Quella direttiva non è stata mai fatta propria dalle grandi società quotate controllate dal Tesoro (Eni, Enel, Finmeccanica, Terna ecc.).

Se avessero cambiato i propri statuti, anche Descalzi sarebbe già a casa, essendo stato rinviato a giudizio con l'accusa di corruzione internazionale per la maxi tangente pagata in Nigeria per assicurarsi il giacimento petrolifero Opl 245. Per Descalzi la sentenza di primo grado è attesa nel prossimo mese di gennaio.+

La corrida

Non essendoci una norma si passa alla corrida. I Cinque stelle di lotta (Alessandro Di Battista, Barbara Lezzi) chiedono rumorosamente le dimissioni di Profumo. I Cinque stelle di governo, che ha rinnovato Profumo sei mesi fa, tacciono.

Il Pd tace. Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, suo azionista di controllo con il 30 per cento, ha fatto sapere che per lui vige la regola garantista di attendere la sentenza della Cassazione.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte invece, in uno scampolo di tempo libero lasciatogli dall'emergenza Covid, ha pensato di far saltare il manager sulla gravità della condanna a sei anni, ma non per ragioni etiche. Ad animare Conte non è il senso della moralità pubblica ma la volontà di regalare l'ambita poltrona al suo amico Domenico Arcuri, il commissario per l'emergenza Covid che non vede l'ora di dispiegare sul complesso mercato mondiale delle armi le capacità dimostrate nell'acquisto di mascherine e banchi monoposto.

Dunque il paradosso istituzionale è che a difendere la posizione di Profumo in queste ore non è una valutazione dei fatti reali per cui è stato forse discutibilmente condannato, ma l'indebolimento politico di Conte, alle prese con la seconda ondata Covid che sta illuminando di luce critica l'azione del governo durante i mesi estivi. Insomma, i bene informati dicono che il premier non avrebbe la forza di cacciare Profumo per sostituirlo con Arcuri. Una notizia che appare abbastanza inquietante dal punto di vista dei cittadini ansiosi di sapere come le istituzioni gestiscano il tema dell'etica pubblica.

Da dieci anni la Finmeccanica, che in generale non se la passa benissimo, è di fatto governata dalla magistratura. Nel novembre del 2011 fu azzoppato il presidente Pier Francesco Guarguaglini (prosciolto), nel 2013 fu arrestato il suo successore Giuseppe Orsi (assolto). Nel 2017 l'ad Mauro Moretti non è stato rinnovato in seguito alla condanna a sette anni in primo grado per la strage ferroviaria di Viareggio.

Il punto dolente del caso Profumo è che nessuno, neppure i ministri, va a vedere per che cosa è stato condannato e nessuno di quelli che lo vogliono cacciare saprebbe dire che cosa ha fatto, tanto è complesso e incomprensibile il processo che lo ha visto imputato. Insieme all'amministratore delegato di allora Fabrizio Viola (stessa pena) avrebbe nascosto nel bilancio l'esistenza dei derivati Alexandria e Santorini, avvenuta secondo le accuse in anni in cui quelle operazioni erano dettagliatamente narrate su tutte le prime pagine dei giornali. Il processo parte dall'esposto di un azionista.

La procura di Milano ha chiesto ripetutamente l'archiviazione, il proscioglimento e l'assoluzione. In realtà nei bilanci contestati Profumo e Viola hanno scritto sempre, a partire dal 2012, che la contabilizzazione di Alexandria e Santorini come "non derivati" gliel'avevano ordinata Banca d'Italia e Consob con un documento ufficiale l'8 marzo 2013. Negli stessi bilanci è data la rappresentazione "pro forma" di come sarebbero risultati i conti disobbedendo alla Banca d'Italia.

Il dramma contemporaneo è che, anziché leggere le sentenze, gli uomini di governo si preoccupano di proteggere l'amico imputato o di acchiappare per un amico la poltrona del manager azzoppato dalla giustizia.  

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