La proposta sui migranti che l’Italia porta avanti in vista del Consiglio europeo della prossima settimana può sembrare a prima vista una prova di forza, visto che il non paper (il documento informale) fa la voce grossa sul «controllo delle frontiere» e «i rischi dell’immigrazione illegale». In realtà il dossier migranti è una cartina di tornasole delle debolezze della strategia di Giorgia Meloni ma anche del progressismo in Europa. I frenetici tour europei della premier e dei suoi ministri si riveleranno con ogni probabilità irrilevanti, e l’Italia resterà schiacciata dalle manovre della Germania sul fronte degli aiuti di stato. Al Consiglio europeo del 9 febbraio emergerà il divario tra la propaganda – come la retorica antimigranti – e la reale incisività del nostro paese al tavolo europeo.

Ma l’utilizzo degli argomenti securitari come arma di distrazione non è senza effetti tangibili. L’alleanza tra i conservatori di Meloni e i popolari di Manfred Weber si sta rinsaldando proprio sull’idea di un’Europa fortezza, al punto che ora Viktor Orbán può permettersi di schernire Weber. «Benvenuti nel club!», twitta il leader ungherese. Ci siete arrivati ora, Weber e von der Leyen? «Noi le frontiere rigide le chiedevamo da un decennio!». Ormai l’Europa respingente non è più una vaga idea sovranista, ma una pratica e una teoria quotidiana di un’Unione europea che vira sempre più a destra.

La posizione italiana

Al Consiglio di giovedì, i capi di stato e di governo affronteranno anzitutto il tema della competitività e quello delle migrazioni. Sul primo punto il governo italiano è destinato a prendere – nella migliore delle ipotesi – le briciole. Aprire l’argine sugli aiuti di stato favorisce anzitutto i paesi con maggiore spazio fiscale, a cominciare dalla Germania, e le compensazioni per noi saranno quasi nulle, a giudicare da quanto Meloni stessa ha fatto intendere questo venerdì da Berlino. Su un «fondo sovrano», che sarebbe finanziato con debito comune, la premier ha usato giustamente il condizionale; e se mai andasse in porto, «con quale tempistica?». Dunque il governo ripiega sulla «flessibilità» sui fondi già stanziati: significa ridefinire parzialmente l’utilizzo di Recovery, Repower, fondi di coesione. Una soluzione a dir poco marginale di fronte a Berlino e ai suoi bazooka per le imprese.

Dunque il governo Meloni cerca una vittoria simbolica sul fronte securitario. Il documento italiano si struttura su quattro assi: il primo è «la cooperazione coi paesi terzi», poi «l’Africa e la soluzione alla radice delle cause delle migrazioni», «migliore coordinamento nelle operazioni di soccorso» ed «equilibrio tra solidarietà e responsabilità». Al di là delle parole, quali sono i pilastri della posizione italiana? Meloni sa bene – anche perché i sovranisti per primi hanno sempre tenuto questa posizione – che la redistribuzione dei migranti tra paesi europei è un tema poco consensuale, e quindi punta tutto sulle frontiere: come tener fuori i migranti dai confini Ue.

Squilibrio a destra

Su questo punto già da tempo gli argomenti sovranisti hanno permeato le politiche di Bruxelles. Basti pensare ai respingimenti illegali della Polonia, che la Commissione Ue invece di condannare stava per promuovere a sistema, o al muro costruito un anno fa dal governo polacco alleato di Meloni. Già all’epoca von der Leyen, pur non sostenendo esplicitamente il finanziamento della barriera, si era detta disponibile a dirigere fondi Ue sulle tecnologie relative a essa. Ora il leader dei popolari Weber va ancora oltre, nel suo assist alla destra estrema: sostiene sia i muri che l’idea di finanziarli. Il Consiglio del 9 sarà tutto un dibattere di rafforzamento delle frontiere esterne e di rimpatri. Non sapendo né volendo gestire gli arrivi, i governi si mettono d’accordo sull’impedirli.

Se c’è una strategia specifica, in questo, dal lato italiano, è quella che riguarda i paesi del Mediterraneo. In realtà anche questo schema è vecchio: la Germania è già riuscita da tempo a dirigere fondi Ue verso la Turchia per frenare gli arrivi e trovare compromessi con Erdogan. Anche con Mario Draghi premier, il lavoro del governo italiano andava in direzione di uno schema simile da applicare però alla Libia. Proprio qui nelle scorse settimane si è recato l’esecutivo Meloni, e il non paper nostrano chiede «significative risorse finanziarie» europee da indirizzare verso il Mediterraneo. C’è poi anche l’idea di utilizzare i rapporti economici come leva. Anche su questo Roma è in sintonia con Bruxelles: a dicembre, in sede di Wto, l’Ue è andata a dire ai paesi più poveri che se vogliono tariffe agevolate in ambito commerciale, allora devono riprendersi indietro i loro connazionali.

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