Quando l’ex segretario Madeleine Albright nacque nel 1937 con il nome di Maria Jana Corbelova a Praga, in Cecoslovacchia, la Storia era in movimento. Oggi che scompare all’età di 84 anni, sembra che qualcosa stia nuovamente cambiando per sempre. 

Poco dopo la nascita il suo Paese, giovane democrazia nata sulle ceneri dell’Impero asburgico, sarebbe stato annesso in due step dalla Germania hitleriana come parte essenziale del suo piano espansionistico verso Est.  Per quello si dovette trasferire subito al seguito del governo in esilio di Eduard Benes nel maggio 1939, a Londra. Da lì inizierà il suo percorso che la porterà negli stati Uniti, passando per la Jugoslavia di Tito al seguito del padre diplomatico, per la Svizzera neutrale dove ha acquisito questo nome dal sapore francofono fino agli Stati Uniti, dove arriva nel 1948.

Gli inizi

Qui inizia una lunga carriera prima accademica e poi diplomatica che la porterà ad essere la prima “Madam Secretary”, la prima donna a capo del Dipartimento di Stato, incarico che sovrintende alla gestione della politica estera americana. La sua formazione segue in parallelo quella di altri diplomatici americani nati all’estero, figli della Mitteleuropa travolta prima dal nazismo e poi dal comunismo, tra cui spiccano il nativo della Baviera Henry Kissinger e il polacco Zbignew Brzezinski, rispettivamente segretario di Stato del presidente repubblicano Richard Nixon e consigliere per la sicurezza nazionale del democratico Jimmy Carter.

In modi diversi, rappresentavano i figli di un continente sfigurato dalla brutalità totalitaria che trovavano in America un modo di ricostruire un ordine al mondo. Madeleine Albright, dopo una carriera da esperta di politica estera e come consulente dello stesso Brzezinski e di due candidati dem sconfitti come Walter Mondale e Michael Dukakis, con la vittoria di Bill Clinton alle elezioni presidenziali del 1992 viene nominata come ambasciatore americano alle Nazioni Unite.

Certi editoriali parlavano di un mondo post-Guerra Fredda senza più nemici. Evidente che la situazione era molto più complessa e difficile. Era stata proprio Albright ad assistere alla violenta implosione della Jugoslavia e al genocidio del Ruanda, da lei per qualche tempo minimizzato per non favorire il coinvolgimento americano in Africa, posizione poi successivamente riconsiderata alla luce delle evidenze che non lasciavano spazio a dubbi.

Si era trovata anche a lottare con lo stesso segretario generale Boutros Ghali, visto come eccessivamente antiamericano, contro il quale scatena una guerra di logoramento attraverso uno spregiudicato uso del veto per negargli un secondo mandato alla guida dell’Onu. Operazione che si conclude con la nomina di Kofi Annan e per Albright si spalancano le porte del dipartimento di Stato.

La Russia

Tra i suoi obiettivi, l’allargamento della Nato verso Est. In un’audizione di fronte alla commissione Forze armate del Senato il 23 aprile 1997, la neosegretario di Stato aveva dichiarato che impedire l’espansione della Nato è come affermare «che le nuove democrazie dell’Est non potranno mai essere nostre alleate». In quella stessa occasione era stato anche specificato che la mossa non era contro la Russia, anzi, si auspicava la creazione di un “Consiglio Nato-Russia” perché sotto la presidenza di Boris Eltsin, la Russia si era avvicinata alle democrazie «sfatando le più cupe previsioni».

Un paio di anni dopo, sotto la premiership di Evgenij Primakov, la Russia sarebbe tornata nuovamente ostile a questo nuovo corso, sostenendo il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic nella sua spietata guerra contro gli autonomisti dell’Uck, l’esercito di liberazione kosovaro. Non fu un radicale cambio di rotta, tant’è vero che il successore di Primakov come premier, Vladimir Putin, avrebbe approvato la nascita del consiglio Nato-Russia nel famoso vertice di Pratica di Mare del 28 maggio 2002.

L’illusione successiva a quel vertice fu di aver finalmente integrato la Russia in una solida alleanza di nazioni impegnate nella lotta contro il terrorismo islamico internazionale. I fatti di questi giorni testimoniano come quell’illusione sia da tempo andata in pezzi e a riconoscerlo è stata la stessa Albright nel suo ultimo libro pubblicato con il titolo esemplificativo: Fascismo: un avvertimento.

Al suo interno l’ex segretario di Stato rifletteva su come quell’ordine fosse andato in pezzi sotto la spinta del populismo sponsorizzato dal Cremlino, guidato dal “molto intelligente” Vladimir Putin. Questa sirena poteva trasformare anche un giovane dissidente che lei aveva conosciuto nel corso degli anni ’80, un certo Viktor Orban sovvenzionato da George Soros nella creazione di un partito liberal-riformista che poi si è trasformato in nazional-conservatore.

Nella parabola di Madeleine Albright, quasi ad arco, c’è anche la perduta illusione degli anni ’90: il benessere e il libero mercato non bastano ad allettare le persone quando questo non viene sostenuto da un robusto set di valori liberaldemocratici. Le capacità taumaturgiche del capitalismo si sono rivelate totalmente inefficaci di fronte alle vecchie narrazioni nazionaliste che avevano distrutto l’Europa negli anni ’30 che avevano costretto la sua famiglia a fuggire dalla propria Patria.

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