I primi due giorni di Giorgia Meloni alla guida della maggioranza hanno mostrato il metodo della leader di Fratelli d’Italia per gestire gli ondivaghi alleati di Forza Italia e Lega: bastone e carota.

Al Senato, Meloni ha umiliato Silvio Berlusconi, trasformando quello che doveva essere il suo trionfale ritorno in parlamento in una sconfitta politica cocente. Lui ha voluto insistere sul nome di Licia Ronzulli come ministra e ha provato a forzare, non facendo votare i suoi per Ignazio La Russa, lei aveva pronto il soccorso delle opposizioni e lo ha usato per rendere irrilevante FI e spaccarla. Il coordinatore Antonio Tajani – avvantaggiato dalla caduta di Ronzulli – ha ripreso in mano la gestione, assicurando i voti per eleggere alla Camera il leghista Lorenzo Fontana. Riallineare il partito è stato l’unico modo per non perdere i ministeri promessi, con buona pace dell’orgoglio del Cavaliere. Ora è in corso il tentativo concertato di placare l’ambizione di Ronzulli, «per salvare Berlusconi e il partito».

Alla Camera, Fratelli d’Italia ha ricompensato con lo scranno più alto la Lega, che ha rispettato fedelmente gli ordini di scuderia nel voto su La Russa. Meloni ha anche permesso a Matteo Salvini di scegliere il nome, dandogli modo di riprendere forza all’interno del suo partito. Nessuna contestazione, quindi, su un profilo complicato anche sul piano internazionale come quello di Fontana: anti-abortista e filo-putiniano, nemico del mondo Lgbtq+. 

«Spettava alla Lega e noi abbiamo votato chi ci hanno indicato, come si fa tra alleati», ha detto il capogruppo di FdI, Francesco Lollobrigida. Il messaggio indiretto è: chi si allinea viene ricompensato, gli altri vengono spazzati via.

Gli equilibri nella Lega

La Lega è un partito attento alle dinamiche territoriali: Veneto e Lombardia, poi Piemonte. Le federazioni storiche reclamano posti e sono legate ai loro dirigenti locali. Per questo Salvini ha deciso di mantenere Riccardo Molinari (piemontese) alla guida del gruppo alla Camera e di spostare Fontana (veneto) alla guida dell’aula. Il segnale è per Zaia: Fontana appartiene all’area salviniana ed è amico stretto del capo da quando erano eurodeputati. La scelta di un veneto è il modo di Salvini per dimostrare attenzione al territorio, ma anche di creare disturbo a Zaia in casa sua.

La mossa fa scendere le quotazioni di un’altra veneta per il ministero chiave degli Affari regionali. Erika Stefani, ministra veneta del governo gialloverde, potrebbe dover cedere il passo a un lombardo. Il principale indiziato è il bergamasco Roberto Calderoli, che ha sfiorato la presidenza del Senato ma ha fatto un passo indietro nell’interesse del partito e il suo sacrificio protrebbe venir ripagato con il ministero caro ai veneti. Consegnarlo alla Lombardia significa per Salvini anche intestarsi in modo più deciso il tema dell’autonomia, tanto importante per i governatori.

L’altro lombardo per cui il ministero è quasi assicurato è Giancarlo Giorgetti, che personalmente avrebbe preferito cinque anni di serenità alla guida della Camera più che il posto scomodo alla guida del ministero dell’Economia.

La sua indicazione è arrivata da Fratelli d’Italia, non è gradita a Salvini che però fa buon viso a cattivo gioco e incassa: è comunque un dicastero in più in quota Lega che non pregiudica le altre richieste. Lo scontro tra Meloni e Berlusconi, infatti, ha regalato a Salvini il ruolo di mediatore e soprattutto lo fa guadagnare quel che verrà tolto a Forza Italia. «La Lega è a più uno, Forza Italia a meno uno», ha detto una fonte di FdI e il soggetto sono i ministeri.

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